Il bicchiere mezzo pieno c’è e dato il tema sensibile di cui parliamo, non è cosa da poco. La spesa per le pensioni è e resterà sotto controllo per i prossimi 10-15 anni, fintantoché non avranno lasciato il lavoro tutti i cosiddetti baby boomers, coloro che nacquero tra il Secondo Dopoguerra e il 1980. Dunque, se è vero che il problema non possa o debba essere sottaciuto, non saremmo dinnanzi a una vera emergenza. Lo sostengono i risultati del Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali di Alberto Brambilla, uno dei massimi esperti di previdenza in Italia.
Serve maggiore occupazione
Partiamo da un dato: nel 2022 il numero dei pensionati è salito a 16 milioni 131 mila dai 16 milioni e 99 mila dell’anno precedente. Al contempo, però, è migliorata anche l’occupazione al 60,1%. Restando a due anni fa, il rapporto tra numero dei lavoratori e pensionati è stato di 1,4443. Il rapporto minimo per poter iniziare a parlare di sicurezza in merito alla spesa per le pensioni sarebbe di 1,5. Di fatto, ci siamo molto vicini.
Sappiamo che nel novembre scorso il numero degli occupati è ulteriormente salito a 23 milioni 743 mila unità, pari al 61,8% delle persone in età lavorativa (15-64 anni). Pur rimanendo in fondo alla classifica europea, il miglioramento esiste. Non è abbastanza e dovremmo fare di tutto per tendere alla media europea del 72%. A quella percentuale, avremmo almeno 27 milioni e mezzo di lavoratori occupati e, a parità di pensionati, il rapporto s’impennerebbe a 1,7. Saremmo in zona comfort.
Denatalità problema non immediato per l’Inps
Da questi dati emerge un apparente paradosso. Da anni parliamo della denatalità quale problema principale per la sostenibilità della spesa per le pensioni. Ma è vero in parte, nel senso che certamente minori nascite anticipano forti criticità per il mercato del lavoro. D’altra parte, ad oggi il guaio è che non riusciamo ad occupare le persone che già potrebbero, per cui anche con una natalità più elevata non risolveremmo il problema.
Sempre i dati della ricerca hanno trovato che la spesa per le pensioni nel 2022 ammontava al 13% del PIL, al netto della componente assistenziale. Siamo su percentuali intorno alla media europea. Il punto è che l’assistenza complessiva è salita a 157 miliardi dai 73 del 2008. Molta di essa riguarda proprio la previdenza. Ed ecco che la spesa per le pensioni s’impenna su percentuali record in Europa, minacciando l’equilibrio dei conti Inps.
Come tenere sotto contro la spesa per le pensioni
Dunque, nell’attesa che tutti i baby boomers vadano in pensione, cosa fare? In primis, bisogna limitare le uscite anticipate dal lavoro, così da innalzare progressivamente l’età pensionabile effettiva, ancora di 63 anni e ai minimi in Europa. Secondariamente, si deve favorire l’occupazione per accrescere il numero di coloro che versano oggi i contributi e ridurre un domani quello di chi chiede assistenza durante la vecchiaia.
Il governo Meloni ha aperto la strada all’applicazione per intero del metodo contributivo per quanti decidano di lasciare il lavoro prima dell’età pensionabile. Così facendo, la flessibilità promessa in campagna elettorale si rende compatibile con l’equilibrio dei conti pubblici nel medio-lungo periodo. Ciò riduce l’appetibilità delle uscite anticipate e nel tempo favorirebbe l’aumento dell’età pensionabile effettiva. Nell’immediato, comunque, dovremmo superare di slancio quota 24 milioni di occupati per iniziare a tirare un mezzo sospiro di sollievo. Il resto lo farebbe la crescita economica, che trainando quella dei salari incrementerebbe il gettito dei contributi e ridurrebbe l’incidenza della spesa per le pensioni rispetto al PIL.