Grande attenzione ai conti pubblici con la fine della lunga era dei tassi negativi nell’Eurozona. Da qualche mese emettere nuovo debito pubblico costa di più. E la politica italiana non è certo sede di tante virtù, come dimostra l’andamento della spesa pubblica. Per la prima volta nella nostra storia, supererà la soglia dei 1.000 miliardi di euro. Lo dicono le stime della Commissione europea, secondo cui si attesterà al 54% del PIL. Lo scorso anno, essa è stata pari al 55,5% e in valore assoluto ha sfiorato i 1.000 miliardi, fermandosi a 985 miliardi.
Prima del Covid, il livello della spesa pubblica in Italia era al 48,5%, cioè a poco meno di 870 miliardi. Tra Covid e inflazione, si è dilatata di oltre 140 miliardi, vale a dire di un sesto. Tutto questo in appena un triennio. Questo significa che per ogni residente lo stato italiano spende quasi 17.000 euro. Di questi, intorno ai 65 miliardi sono spesa per interessi. Anche togliendoli dal calcolo, il risultato cambia poco.
Alta spesa pubblica, bassa qualità
Il problema è che l’Italia ha una spesa pubblica tra le più elevate in Europa, ormai seconda alla sola Francia in rapporto al PIL, ma a fronte di una qualità assai bassa. Pensate, ad esempio, che il grado di soddisfazione del cittadino per i servizi della Pubblica Amministrazione ci colloca al 24-esimo posto nell’Unione Europea, davanti solo a Romania, Bulgaria e Grecia. E come fiducia verso la P.A. scendiamo in penultima posizione, davanti alla sola Grecia.
Del resto, basterebbe mettere piede in un qualsiasi edificio pubblico per capire che qualcosa non vada. Scuole semi-inagibili, uffici che cascano a pezzi, ospedali stessi sovraffollati e abbandonati nell’incuria. Eppure siamo a oltre 1.000 miliardi di spesa pubblica. Non possiamo prendercela (sempre) con questa maledetta austerità. C’è qualcosa che non funziona nel nostro modo di gestire le risorse dei contribuenti.
E vai di sprechi, di inefficienze, di concentrazione della spesa pubblica in capitoli che sono sempre gli stessi da decenni per ragioni elettorali e clientelari. Vedasi l’annosa questione delle pensioni. Anche qui, risorse distribuite malamente nei decenni: tanti pensionati e troppi percettori di bassi assegni. Nel frattempo, il debito pubblico esplode, perché neppure le altissime entrate fiscali tengono il passo con la spesa pubblica. Servirebbe spendere non solo meno, ma anche meglio; programmare una discesa pluriennale del rapporto con il PIL, così da mettere in ordine i conti. Ma nell’Italia dei bonus, questo appare un esercizio velleitario.