Spetta la disoccupazione a chi si licenzia per motivi di studio e formazione?

Si chiedono se spetta la disoccupazione a chi si licenzia per motivi di studio. O, meglio, a chi si dimette.
3 anni fa
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Non sono pochi i giovani che, per proseguire i corsi universitari sospesi, pensano di lasciare il lavoro. Si chiedono se spetta la disoccupazione a chi si licenzia per motivi di studio e formazione. O, meglio, a chi si dimette, visto che è il datore di lavoro che licenzia.

Bisogna fare una premessa. Esistono due tipi di dimissioni: volontarie e per giusta causa.

Le dimissioni volontarie, come suggerisce il nome, dipendono da una libera scelta del dipendente e non danno diritto alla disoccupazione.

Le dimissioni per giusta causa sono dovute, invece, ad una causa esterna, non legata alla volontà del lavoratore e permettono di ottenere la Naspi (indennità di disoccupazione versata dall’Inps a chi perde il lavoro involontariamente).

Chi si dimette per motivi di studio e formazione a quale delle due categorie appartiene?

Quali sono le dimissioni per giusta causa per le quali si ha diritto alla Naspi?

Spetta la disoccupazione a chi si licenzia per motivi di studio e formazione? Ha diritto alla Naspi?

Le cause esterne da cui dipendono le dimissioni per giusta causa devono, in ogni caso, essere associate al comportamento del datore di lavoro. Riguardano la violazione degli obblighi da parte dell’azienda legati al rapporto lavorativo come:

– mancato pagamento dello stipendio per almeno 2 mensilità o mancato versamento dei contributi;

– mobbing;

– molestie sessuali al lavoro:

– trasferimento ingiustificato;

– demansionamento;

– inosservanza delle misure di sicurezza sul luogo di lavoro.

Ciò significa che non spetta la disoccupazione a chi si ‘licenzia’ per motivi di studio e formazione. Non ha diritto alla Naspi perché la volontà di studiare è propria del lavoratore, non del datore di lavoro.

In sostanza, la giusta causa che permette di ottenere la Naspi non può riguardare un fatto estraneo al rapporto di lavoro. Secondo questo principio, anche il dipendente che, per problemi fisici, non può più svolgere le sue mansioni non ha diritto alla Naspi.

Potrà dimettersi per giustificato motivo oggettivo ma non per giusta causa.

Dimissioni per giusta causa e Naspi: sentenza n. 269/2002 della Corte di Cassazione

Abbiamo chiarito che chi si dimette può ottenere la Naspi solo in un caso: per giusta causa, quando cioè la decisione di dimettersi del lavoratore è indotta da comportamenti illeciti del datore di lavoro, quindi non dipendente dalla propria libera scelta. In altri casi, l’assegno di disoccupazione non spetta.

La Corte di Cassazione ha stabilito questo principio con la sentenza n. 269/2002, in seguito confermata nella circolare INPS 97/2003.

Per giusta causa di dimissioni s’intendono anche importanti modifiche (applicazione di un nuovo CCNL) delle condizioni lavorative dei dipendenti di un’azienda ceduta e trasferita in un’altra (co. 4, art. 2112 c.c.). In tal caso, il lavoratore può chiedere le dimissioni per giusta causa entro 3 mesi dal trasferimento.

Il lavoratore a cui viene riconosciuto il diritto alle dimissioni per giusta causa non deve rispettare i giorni di preavviso: può recedere dal contratto immediatamente.

Può ottenere la Naspi se possiede determinati requisiti:

– almeno 13 settimane contributive negli ultimi 4 anni;

– ha lavorato per almeno 30 giorni negli ultimi 12 mesi.

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