I possessori italiani di “criptovalute” restano in attesa di capire se l’aumento della tassazione, annunciato dal governo con la presentazione della legge di Bilancio, sarà effettivo. Una vera e propria stangata su Bitcoin e altri token digitali, sulle cui plusvalenze lo stato imporrà un prelievo non più del 26%, bensì del 42%. Una misura che non si spiega di certo con la necessità di fare cassa. Lo stesso governo prevede di incassare pochi milioni di euro, non miliardi, né centinaia di milioni.
Crypto asset più tartassato con legge di Bilancio
Non ci sarebbe un vero motivo alla base di questa stangata sui Bitcoin. O sì? Se il governo l’ha messa nero su bianco, evidentemente ha previsto di portare a casa un certo beneficio. Quale? Questa settimana, il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, ha usato parole non tenere con l’esecutivo, accusandolo sostanzialmente di essere ipocrita sulla richiesta alle banche di alzare i tassi sui conti correnti e deposito. Ha altresì richiesto l’eliminazione dell’imposta di bollo, definendola per quello che è: “una patrimoniale” sui risparmi.
Lo stesso Patuelli, però, ha concordato con il governo la necessità di implementare la stangata sui Bitcoin. A suo avviso, le “novità tecnologiche” non possono continuare a godere di una tassazione “agevolata”. Avete letto bene. Per il rappresentante del sistema bancario italiano, le crypto godrebbero di una tassazione agevolata. Con la legge di Bilancio per il 2025 sarebbe vero il contrario: nessun altro asset finanziario in Italia risulterebbe tartassato così tanto. E’ vero che finora le plusvalenze fino a 2.000 euro erano esenti da prelievo fiscale. Al limite, sarebbe stato opportuno intervenire su quell’aspetto, non inasprendo l’aliquota di sedici punti sopra l’imposizione che grava, ad esempio, sugli interessi corrisposti dalle banche ai clienti per la liquidità depositata sui conti.
Manina delle banche?
E se la stangata sui Bitcoin fosse la contropartita richiesta proprio dalle banche al governo per avallare il famoso “contributo”? Gli istituti di credito e le assicurazioni verseranno nei prossimi due anni 3,5 miliardi in più. Non una vera tassa, quanto un anticipo di cassa sulle Dta, il quale verrebbe loro restituito nell’arco del triennio successivo. Inizialmente, il governo ipotizzava una nuova e, stavolta, effettiva tassa sugli extra-profitti. L’idea era stata rigettata chiaramente dai destinatari, che sul punto ebbero più che ragione. Alla fine si è trovata una soluzione di compromesso, come del resto anche lo scorso anno con l’alternativa offerta di aumentare le riserve di 2,5 volte l’importo extra altrimenti da versare allo stato.
E perché le banche avrebbero preteso la stangata sui Bitcoin? Semplice: si tratta di un asset alternativo ai loro prodotti. Più crescono gli investimenti in crypto e minore la liquidità lasciata sui conti correnti dalle famiglie. Lo stesso vale per le assicurazioni: crypto uguale minori polizze vendute ai clienti. I numeri ad oggi sono risibili – poco più di un paio di miliardi al secondo trimestre – ma questo è un mercato dalla crescita esplosiva. Banche e assicurazioni temono che negli anni il fenomeno assumerà dimensioni tali da minacciarne i margini. Se gli italiani investissero 20, 30, 50 miliardi nei token digitali, parimenti questi capitali verrebbero loro sottratti e sarebbero costretti a remunerare di più i risparmi per attirarli.
Stangata su Bitcoin come Tobin tax
Se questo è il film realmente andato in onda nelle settimane scorse, la regia ha commesso errori grossolani. Ha ottenuto noccioline, mentre certamente perderà molto di più negli anni a seguire.
Ottimo articolo .
Ottimo articolo . ho letto sicuramento suoi articoli ma non ricordo proprio di avere dato un commento, kein problem !!