Abbiamo visto pochi giorni fa Elon Musk consegnare alla premier Giorgia Meloni il Global Citizen Award 2024 di Atlantic Council, corroborando un’amicizia tra i due che è nata da qualche anno e che il magnate ostenta in molte occasioni. Adesso, Palazzo Chigi dovrà decidere in fretta se consentirà a Starlink di entrare sul mercato delle telecomunicazioni italiane per portare la connettività ad internet praticamente ovunque e a soli 10 euro al mese.
Starlink azzererebbe digital divide
Sappiamo che Musk è il fondatore di Tesla, principale produttore di auto elettriche nel mondo.
Starlink è un sistema satellitare che consente la connessione ad internet senza la necessità di cavi. Avete presente i lavori di questi anni per portare la fibra in casa? Tutto perfettamente inutile con il piano di Musk. Non solo non si scasseranno migliaia di chilometri di strade, ma oltretutto la connessione arriverà ovunque. Il sistema è già stato messo in pratica in Ucraina e Zimbabwe e ha praticamente azzerato il famoso “digital divide”, ossia la distanza digitale tra aree coperte e aree non coperte del territorio nazionale.
Svolta nella digitalizzazione
L’ingresso di Starlink sul mercato delle telecomunicazioni in Italia richiederebbe, com’è ovvio, il via libera di Palazzo Chigi. Con Meloni a capo del governo sembrerebbe cosa fatta. Invece, il dossier si presenta per la premier come molto spinoso. Da un lato avrebbe modo di accontentare un imprenditore amico e di accelerare la digitalizzazione a costi molto bassi e alla portata delle tasche di tutte le famiglie.
La vicenda è complessa. Quasi una decina di anni fa, il governo Renzi diede vita a una società partecipata allora da Eni e Cdp, entrambe controllate dallo stato, per fare concorrenza a Tim e accelerare i lavori per portare la fibra nelle case degli italiani. Successivamente, sotto il governo Gentiloni Cdp entrò nel capitale di Tim e orchestrò un ribaltone per prendersi il consiglio di amministrazione e mandare la francese Vivendi, primo azionista con il 23,75%, all’opposizione. Ci riuscì. Arriviamo al governo Meloni, che riesce a implementare lo scorporo tra rete e servizio, assegnando la prima al fondo americano Kkr. Nelle sue intenzioni, tra qualche anno NetCo sarà fusa con Open Fiber per dare vita a un unico colosso della fibra e ridurre così il “digital divide”.
Musk minaccia rete in fibra
Starlink scombina i piani. Se entrasse sul mercato italiano, il valore dell’infrastruttura in fibra crollerebbe all’istante. Le due tecnologie potranno verosimilmente convivere, ma capirete benissimo che sia Open Fiber che NetCo si ritroverebbero a capo di società dal valore nettamente inferiore a quello attuale. E gli americani hanno valorizzato complessivamente la rete ex Tim per 22 miliardi, compresi 3 miliardi di “earn out” per il caso di successiva integrazione con Open Fiber.
Districarsi da questa matassa non sarà facile. Meloni dovrà scontentare qualcuno. Se avallerà l’ingresso di Starlink, lo stesso investimento diretto e indiretto del Tesoro nelle due società si svaluterà e Kkr avrà da recriminare. Se impedirà a Musk di entrare, invierà un segnale negativo a quella Big Tech americana che sembra accordarle fiducia. Non sarebbe un’immagine positiva per l’attrattività italiana verso gli investimenti stranieri.
Starlink test per governo Meloni
Meloni dovrà decidere entro tempi brevi. Musk deve capire dove investire per la sua Starlink. C’è un primo ostacolo burocratico. Con il Pnrr i fondi a favore della digitalizzazione sono stati già assegnati a NetCo e Open Fiber. Sarebbe un problema parziale, dato che l’imprenditore si mostra intento a coprire i costi di tasca sua. Al limite, allo stato richiederebbe un co-finanziamento di basso importo. Il caso fa emergere altresì l’ottusità di un’Europa incapace di tenere il passo con le tecnologie, divisa in mercati nazionali di scarsa rilevanza, presi singolarmente. Servono grossi investimenti e ancora nel 2024 possono arrivare solamente dagli Stati Uniti. Il Rapporto Draghi ci ha visto giusto.