Le domande di pensione dei dipendenti pubblici sono in tendenziale aumento. Il fenomeno è stato frenato negli anni passati dalla riforma Fornero, ma oggi per molti statali il traguardo di fine carriera è più vicino. Se non altro per l’avvicinarsi del limite di età previsto per il collocamento a riposo.
L’età media del dipendente pubblico in Italia è di 53 anni con punte di 55 nel settore degli enti locali. Si intuisce quindi che la soglia anagrafica per andare in pensione, vuoi coi requisiti ordinari, vuoi con le uscite anticipate, è sempre più vicina per un numero maggiore di persone.
Un terzo degli statali in pensione entro il 2030
Secondo le previsioni Inps, pur considerando l’innalzamento dell’età pensionabile per effetto dell’allungamento della speranza di vita, circa un terzo degli statali andrà in pensione entro il 2030. Numericamente si tratta di circa 1,2 milioni di lavoratori. Di questi – precisa Unioncamere – almeno la metà lascerà il lavoro nei prossimi 4 anni.
I numeri sono preoccupanti perché si tratta del 33% dell’organico della Pubblica Amministrazione, di cui il comparto scuola e sanità rappresentano il bacino maggiore. Il rapido deflusso del personale verso la pensione da qui al 2030 non è altro che l’effetto della riforma Fornero che ha ritardato e ingolfato le regolari fuoriuscite dei dipendenti pubblici.
Il settore privato ne è minimamente coinvolto, grazie soprattutto agli scivoli pensionistici (contratti di espansione, isopensione, contratti di solidarietà, ecc.). Cosa non prevista per gli statali che restano relegati a regole più stringenti.
In pensione con Quota 100, Quota 102 e Quota 103
Che la pubblica amministrazione sia vecchia è dimostrata anche dalle statistiche sui flussi pensione dell’Inps. In passato, un terzo delle domande di pensione con Quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi) è arrivato dal comparto del pubblico impiego.
Insomma, dalle domande di pensione con le Quote si desume quanto le deroghe siano state più appannaggio dei lavoratori statali rispetto a quelli privati. Con notevole appesantimento di spesa per l’Inps. Questione di età anagrafica che nel pubblico impiego è più elevata che nel settore privato. Per converso soltanto il 3% della forza lavoro è under 30. Cosa aspettarsi, quindi per il futuro?
Le figure professionali del futuro
Statisticamente il numero dei pubblici dipendenti in Italia è di poco superiore a 3,7 milioni di unità e curiosamente è al minimo storico da vent’anni a questa parte con un calo del 3,9% solo negli ultimi dieci anni. In rapporto alla popolazione, si tratta di uno dei livelli più bassi in Europa. Secondo Unioncamere
“oggi, la PA è anziana: il 55% dei dipendenti pubblici ha più di 55 anni contro il 37,3% del totale degli occupati, solo il 4,2% ha meno di 30 anni e l’età media è di 53,6 anni“.
Inoltre 6 dipendenti pubblici su 10 non sono laureati, due terzi dei laureati hanno una formazione giuridico-amministrativa con poche lauree Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) e tecnico-professionali.
Sempre secondo le previsioni di Unioncamere, il 42% del fabbisogno occupazionale della P.A. dei prossimi anni, dopo l’ondata delle pensioni, è rappresentato da figure ad elevata specializzazione, seguite da un 21% di figure tecniche.
“Quasi i due terzi della domanda di dipendenti pubblici nei prossimi anni sarà costituita da lavoratori in possesso di un titolo universitario mentre la quota residuale sarà rappresentata per lo più da diplomati“.
Riassumendo…
- Un terzo dei dipendenti pubblici lascerà il lavoro entro il 2030.
- L’età media degli statali in Italia è di 53 anni.
- La maggior parte delle domande di pensione con Quota 100 ha riguardato gli statali