Il legislatore italiano una ne fa e cento ne pensa. La norma del Decreto Crescita per agevolare il rientro dei cosiddetti “cervelli” in Italia è stata rivista per limitare i vantaggi in favore delle squadre di calcio professionistiche con riguardo agli stipendi di calciatori e allenatori. Facciamo un passo indietro. Inizialmente, fu il governo Renzi a prevedere agevolazioni fiscali per ricercatori e professionisti qualificati nel caso di rientro in Italia. Lo scorso anno, il governo Conte le ha estese e rese più generali, prevedendo che gli stipendi di soggetti residenti nei due anni precedenti al trasferimento in Italia siano sottoposti a tassazione solo per il 30%, purché s’impegnino a lavorare sul territorio nazionale per almeno due anni.
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Con l’arrivo di Antonio Conte dalla Premier League all’Inter, la norma è parsa uno strumento allettante per richiamare allenatori e calciatori dall’estero o per ingaggiarne di stranieri. Ma evidentemente, la politica ha pensato che la ratio fosse stata distorta e magari avrà subito pressioni dagli stessi club per evitare un ingiusto vantaggio in favore di società con sede al sud, come il Napoli. E così, è stata rivista nei giorni scorsi in versione meno generosa, fermo restando le previsioni per il resto dei lavoratori.
Adesso, vale quanto segue: allenatori e calciatori che venissero assunti da squadre di Serie A con contratto almeno biennale e che nei due anni precedenti fossero stati residenti all’estero vedranno i loro stipendi tassati non per il 30%, bensì per il 50%. Inoltre, la società che dovrà avvalersi di questa agevolazione fiscale è tenuta al pagamento di una (incomprensibile) commissione dello 0,50% dell’imponibile. Rimossa, infine, la super-agevolazione per le società con sede nelle regioni meridionali.
Il colpo ai conti dell’Inter
Per l’Inter, una brutta notizia, avendo ingaggiato Conte quando la norma del Decreto Crescita appariva ben più generosa e magari avendo fissato i livelli di stipendio netto sulla base di quanto da essa previsto. Il contratto triennale consta di 10 milioni netti più un bonus di 2 milioni per la prima stagione, mentre per le restanti due stagioni lo stipendio sale a un netto di 12 milioni, sempre al netto di eventuali bonus. Quanto pagherà il club nerazzurro come lordo e quanto ne avrebbe pagato con la versione precedente della norma? Essendo tassato solo metà stipendio, su 5 milioni non graverà alcuna Irpef, sui restanti 5 netti dovranno essere corrisposti altri 3,8 milioni, oltre alla commissione dello 0,5% sul lordo totale e, quindi, pari a circa 69.000 euro. In tutto, l’esborso per il primo anno sarà di circa 13,8 milioni, anziché i 17,5 che altrimenti si pagherebbero con la tassazione ordinaria.
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Per la seconda e terza stagione, a fronte di 12 milioni netti, il lordo ammonterà a quasi 16,6 milioni (commissione inclusa), anziché gli oltre 21 milioni della tassazione ordinaria. Tuttavia, lo “sconto” si riduce rispetto a quanto previsto inizialmente e in base a cui l’Inter avrebbe dovuto pagare solamente meno di 12,3 milioni lordi per la prima stagione e 14,8 milioni per le due successive. In definitiva, nel passaggio alla versione meno favorevole alla Serie A, l’Inter ha “perso” 1,5 milioni per la stagione 2019/2020 e 1,8 milioni in ciascuna delle stagioni 2020/2021 e 2021/2022, cioè qualcosa come 5,4 milioni nel triennio. Soldi rimasti per strada tra Camera e Senato.