Ecco perché gli stipendi italiani non crescono, malgrado l’aumento dell’occupazione

L'aumento dell'occupazione negli ultimi anni non ha portato a una reale spinta per gli stipendi italiani, che arretrano rispetto all'inflazione.
3 giorni fa
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Stipendi italiani fermi, la spinta dall'occupazione non c'è
Stipendi italiani fermi, la spinta dall'occupazione non c'è © Licenza Creative Commons

Occupazione ai massimi, disoccupazione ai minimi. Tutto sembra procedere bene per il mercato del lavoro italiano, che solamente negli ultimi 2 anni ha registrato una crescita di quasi 850.000 posti. Anche se l’Italia resta agli ultimi posti delle classifiche OCSE per percentuale di occupati in età lavorativa, qualcosa si è mosso nella giusta direzione. La musica cambia appena parliamo di stipendi italiani. La loro incongruenza rispetto al costo della vita è nota a tutti i lavoratori e da molto tempo. Il confronto internazionale spesso diventa fonte di imbarazzo, se non di incredulità.

Stipendi italiani in fondo alle classifiche OCSE

Nei giorni scorsi, l’OCSE ha confermato il trend estremamente negativo. I salari reali in Italia sono diminuiti dell’8,7% dal 2008 al 2024.

Nessuno peggio di noi tra le economie del G20. In Europa, non siamo ultimi solo per la Spagna, che è riuscita a batterci al ribasso. Qualche spiraglio s’intravede solo di recente. Lo scorso anno, le retribuzioni orarie sono salite più dell’inflazione e della media OCSE. Non basta, ovviamente, a recuperare il terreno perduto negli anni precedenti. La produttività ha ripreso a crescere dal 2022, altro spunto positivo per il nostro mercato del lavoro.

Produttività stagnante in Italia

Il problema continua ad essere proprio questo. Gli stipendi italiani sono fermi, anzi si riducono in termini reali, perché il lavoro è poco produttivo. E qui milioni di lavoratori, forse giustamente, staranno scattando dalla sedia. Non ci stanno a passare per sfaticati. In effetti, non è questo il ragionamento. La scarsa produttività non è sempre dovuta al fatto che i lavoratori si girino i pollici. Dipende da tanti fattori.

Tanto per fare un esempio, se dessimo a un agricoltore una zappa per coltivare la terra, per quanto si spaccherebbe la schiena tutto il giorno, non riuscirebbe a raggiungere gli stessi risultati di un altro agricoltore munito di trattore. La differenza la fa il capitale, cioè gli investimenti in beni fisici o anche immateriali.

E gli investimenti a loro volta dipendono da altri fattori, tra cui la propensione al rischio dell’imprenditore, il clima che si respira in un sistema Paese, la burocrazia statale, le infrastrutture e persino le dimensioni aziendali. L’Italia è la patria delle piccole e medie imprese, un caso di successo e ammirazione nel mondo. Ma piccolo non è sempre bello, perché può portare a scarsa competitività e bassi investimenti, che si traducono nei bassi stipendi italiani medi che conosciamo. E allora le esportazioni che volano? Spesso, si devono a realtà di nicchia o ad imprese che si sono concentrate in settori a basso valore aggiunto.

Occupazione e Pil, cosa succede

Come la mettiamo, però, col fatto che l’occupazione sale? In teoria, quando si trovano sempre meno lavoratori disponibili, le imprese sono costrette ad aumentare le paghe. Per capire quello che succede in Italia, abbiamo preso in considerazione i dati macro relativi al 2024 per confrontarli con quelli del 2019, cioè prima della pandemia, nonché con il 2008, anno di inizio della crisi finanziaria mondiale e a cui fa riferimento l’OCSE.

La premessa è questa: il Pil rappresenta il valore della produzione in un dato anno. Semplificando molto (prevediamo le critiche al riguardo), esso è quanto riescono a produrre i lavoratori.

Ebbene, lo scorso anno il Pil nominale è stato di circa 2.192 miliardi di euro. In media, gli occupati hanno sfiorato la soglia dei 24 milioni. Pro-capite il Pil prodotto da ciascuno di loro è stato di oltre 91.500 euro. Nel 2019, i poco più di 23 milioni di occupati riuscirono a testa a produrre qualcosa come 78.125 euro. C’è stato un incremento di oltre il 17%. Peccato solo che esso sia stato divorato totalmente dall’inflazione. In altre parole, è come dire che il valore reale della produzione sia rimasto invariato. Con questi numeri, i lavoratori non possono ambire a paghe in crescita oltre l’inflazione. Il Pil dal 2019 è aumentato in termini reali del 5,4%. Ma nel frattempo è aumentata anche l’occupazione in media del 3,7%.

E adesso il raffronto con il 2008, anno in cui gli occupati a stento superarono in media la soglia dei 23 milioni (similmente al 2019) e produssero a testa meno di 71.400 euro. Da allora c’è stato un aumento del valore della produzione pro-capite superiore al 28%. Peccato, però, che nel frattempo l’inflazione cumulata abbia superato il 31%. Anche in questo caso, c’è stato un calo reale del valore della produzione pro-capite. Gli stipendi italiani sono andati ancora peggio, cosa che autorizza a pensare che vi siano margini per una loro crescita.

Stipendi italiani bassi stimolano assunzioni

Vi siete chiesti se l’occupazione stia salendo proprio perché le paghe sono basse? Le imprese assumono perché il lavoro è diventato più a buon mercato di 10-15 o 20 anni fa. Spesso, ahi noi, tali assunzioni non corrispondono a piani di espansione aziendale, ossia di potenziamento della produzione. C’è da sperare che i segnali positivi degli ultimi anni in termini di recupero della produttività facciano salire con il tempo anche gli stipendi dei lavoratori italiani. Ma la politica deve accompagnare questa evoluzione abbassando il carico fiscale sul lavoro e incentivando la negoziazione al livello aziendale. Il tempo dei contratti di categorie “omnibus” per accentrare il potere negoziale nelle mani dei sindacati a Roma deve finire.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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