Non è tutto oro quello che luccica. Probabilmente anche voi in questo periodo critico avrete sentito dire che a voler tenere tutto chiuso (o quantomeno ad accettare più di buon grado le restrizioni anti Covid) sono gli statali “che tanto hanno uno stipendio fisso” o “guadagnano più dei privati“. Quello della “casta dei dipendenti pubblici” più tutelati è un luogo comune figlio di un retaggio culturale difficile da superare. La verità è che la situazione non è così rosea, soprattutto per alcune categorie di statali perché all’interno di questo grosso gruppo coesistono condizioni contrattuali e buste paga dal peso ben diverso.
Gli ultimi aumenti introdotti con il rinnovo contrattuale 2019/2021 avrebbero lasciato in molti con l’amaro in bocca, secondo quanto emerge dai dati del rapporto semestrale sulle retribuzioni per i dipendenti pubblici effettuato da Aran (agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni).
Aumenti in busta paga: meno di 100 euro per docenti e infermieri
Sulla carta l’aumento in busta paga è stato di 107 euro ma questo importo è al lordo dell’elemento perequativo (lo strumento di adeguamento delle buste paga dei lavoratori con redditi più bassi). Né infermieri né docenti sono arrivati a questa cifra: i primi si fermerebbero a 91,50 euro mentre i secondi arrivano ad un importo di 97 euro medio (senza conteggiare l’ elemento perequativo ed al lordo dell’indennità di vacanza di 15 euro);
va ancora peggio alla categoria base dei dipendenti pubblici degli enti locali cat.A: l’aumento in busta paga è stato di appena 60,30 euro al netto dell’elemento perequativo e al lordo dell’indennità di vacanza.
“Alla fine del mese definiremo con i sindacati i comparti e le aree di contrattazione. Dopodiché una direttiva del ministero della Pa e del Mef darà ufficialmente il via alla trattativa, eventualmente con le indicazioni per destinare più risorse ai comparti svantaggiati”
Questo l’impegno espresso dal presidente dell’Aran Antonio Naddeo.