Le politiche aziendali a scapito dei dipendenti non si esauriscono con il fenomeno del lavoro in nero, ovvero del dipendente che lavora senza una regolarizzazione. Ci sono altri metodi utilizzati dal datore di lavoro illecitamente per risparmiare sulle spese e i più diffusi sono la certificazioni di versamento di somme inferiori rispetto a quelle pagate mensilmente ai propri dipendenti ( una parte dello stipendio, quindi, viene pagato fuori busta e su ali somme non sono versati i contributi), oppure la certificazione di somme più alte rispetto a quelle realmente corrisposte (il dipendente, quindi, è costretto ad accettare uno stipendio inferiore rispetto a quello riportato dalla busta paga).
Il datore di lavoro, in questi casi commette un reato? Secondo la Corte di Cassazione non sempre e in questo modo al dipendente non viene fornita alcuna arma per contrastare le ingiustizie ricevute e ricevere quello che realmente gli spetta.
Anche se il dipendente non può ricorrere al processo penale per ottenere giustizia, ha a sua disposizione diversi strumenti da utilizzare come, ad esempio, il tentativo di conciliazione: presentandosi all’Ispettorato del Lavoro, infatti, il dipendente può avviare un tentativo di conciliazione, procedimento gratuito, per difendersi dal mancato pagamento dello stipendio. Il dipendente, poi, può chiedere anche un tentativo di conciliazione monocratica, una procedura più incisiva che prevede una verifica da parte degli ispettori e anche sanzioni per il datore di lavoro. In aggiunta a questi sistemi il dipendente che si è visto non pagato lo stipendio si può rivolgere ad un legale per inviare una diffida di pagamento all’azienda. In mancanza di risultati con tutti i metodi precedenti, il dipendente può, infine, fare ricorso in tribunale chiedendo un decreto ingiuntivo ma solo se il dipendente ha prova scritta del proprio credito (mancato pagamento di uno stipendio a fronte di un contratto di lavoro).
Illeciti del datore di lavoro
Oltre che con il lavoro in nero anche con la busta paga gonfiata o con il pagamento di una parte dello stipendio fuori busta il datore di lavoro commette un illecito sia tributario (evade le tasse oppure ottiene sgravi che non gli spetterebbero) che civile ( non corrisponde al dipendente il dovuto).
Il datore di lavoro, quindi, quando si può denunciare? Se il dipendente oltre alle tutele elencate in precedenza potesse anche denunciare il proprio datore di lavoro potrebbe ottenere più velocemente i propri diritti, ma la Cassazione a questo riguardo è stata molto restrittiva.
La Suprema Corte, infatti, ritiene che nel caso di buste paghe gonfiate si configura il reato di dichiarazione fraudolente per la quale, però, dal 2015 è necessaria che l’imposta evasa sia superiore a 30mila euro o che gli elementi attivi dichiarati siano ruperiori el 5%.
Se non si superano tali limiti, quindi, il datore di lavoro non commette alcun reato e, di conseguenza, non può essere denunciato.
In caso di versamento di una parte dello stipendio fuori busta, invece, secondo la lege non sussiste alcun reato tributato poichè la mancanza di versamento di ritenute di acconto non si configura: le somme versate fuori busta non sono state propriocertificate e, in questo caso, quindi, non s può denunciare il datore di lavoro, anche se resta la possibilità di denunciare l’illecito contributivo.
Datore di lavoro: quando può essere denunciato?
Come abbiamo visto fin qui, quindi, non sempre è possibile denunciare il datore di lavoro. Vediamo, allora, quando, invece, è possibile farlo:
- quando l’azienda versa uno stipendio inferiore a quello riportato in busta paga ma solo se l’importo supera i 30mila euro di imposta evasa e il 5% degli elementi attivi dichiarati
- quando l’azienda versa l’intero ammontare dello stipendio in nero se l’omissione contributiva supera i 50mila euro
- quando l’azienda versa uno stipendio inferiore a quello riportato in busta paga minacciando il dipendente di licenziamento se dovesse pretendere il residuo: in questo caso si commette reato di estorsione e la denuncia può essere sporta.