Deutsche Bank e Commerzbank hanno ammesso ieri di avere avviato i colloqui per una possibile fusione. Le prime due banche tedesche dovrebbero unirsi in matrimonio nei prossimi mesi, secondo quanto da tempo vanno confermando indiscrezioni sempre più insistenti, rilanciate nei giorni scorsi dalla benedizione pubblica del ministro delle Finanze, Olaf Scholz. Se le nozze riusciranno, nascerebbe il secondo colosso bancario europeo, dietro solo a BNP Paribas: assets per 1.900 miliardi, depositi per 845 miliardi, prestiti per 600 miliardi, oltre 140.000 dipendenti, 2.500 filiali e una quota di mercato dei prestiti in Germania del 20%.
Sì, perché le condizioni finanziarie di DB non sono poi così buone. L’istituto ha chiuso l’ultimo trimestre del 2018 con una perdita di 409 milioni, che si confronta con un utile di 113 milioni del probabile coniuge. Ma, soprattutto, gode di una pessima reputazione dentro e fuori la Germania, essendo stata travolta negli anni passati da svariati scandali, in relazione ai quali ha dovuto pagare multe miliardarie, tra cui in America, accusata di avere truffato sulla fissazione dei tassi, di avere venduto mutui tossici, di avere aiutato i clienti a lavare denaro sporco, etc. Anche con l’ultimo report trimestrale, DB ha dovuto accantonare altri 1,2 miliardi per le spese legali.
Da anni, poi, tutto il mondo guarda con apprensione alla sua enorme montagna di titoli derivati in pancia, che stando al Fondo Monetario Internazionale nel 2016 rappresenterebbero una delle più grandi minacce alla stabilità finanziaria globale, a causa dei legami tra DB e le altre grandi banche nel mondo.
Crisi Deutsche Bank, multa è ricatto USA contro UE filo-tedesca?
L’opaco sistema del credito in Germania
Fosse per Sewing, rafforzerebbe l’istituto prima del matrimonio. Tuttavia, dicevamo, cresce la pressione del governo, con la cancelliera Angela Merkel a volere risolvere la questione prima delle elezioni europee, temendo che successivamente non ci siano più le condizioni politiche nazionali e continentali per realizzare la fusione. Ma Frau non vuole metterci la faccia e in pubblico non ne parla, preferendo lavorare dietro le quinte. Perché? Oltre al fatto che trattasi di un dossier impopolare in sé, ci sarebbero da tagliare 30.000 posti di lavoro e per quanto la Germania sia in piena occupazione, i sindacati dei Ver.di hanno già annunciato la loro contrarietà, la quale costringerebbe il capo del Consiglio di sorveglianza, Paul Achleitner, ad avallare il progetto senza accordo, un fatto molto irrituale per la storia dell’istituto, e non solo.
Perché le nozze proprio con Commerzbank? Risposta immediata: è l’altra unica grande banca tedesca rimasta in Germania. Per il resto, il panorama del credito tedesco è affollato dalle cosiddette “Landesbanken”, istituti a metà tra sistema privato e controllo pubblico, non vigilato dalla BCE e che per questo è oggetto di critiche da anni da parte dei partner europei. Queste piccole banche regionali prestano denaro alle piccole e medie imprese tedesche a condizioni altrimenti insostenibili, di fatto agendo come se fossero nel complesso una enorme cassa di risparmio pubblica a sostegno del sistema industriale nazionale.
Con la fusione, Berlino vuole centrare due obiettivi: salvare DB da possibili tensioni sui mercati e sottrarre Commerzbank dalle possibili mire di istituti stranieri. Avete presente lo sbandierato “libero mercato” di cui parlano i tedeschi ogni quattro e quattro otto per spiegare a noi italiani, in particolare, cosa non dovremmo fare sulle banche? Fuffa! Frau Merkel non vuole né che il grosso delle banche tedesche sia vigilato dalla BCE, affinché non se ne scoprano i magagni nei bilanci, né che possano essere acquisite da concorrenti stranieri. E in più, con la fusione lo stato si ritroverebbe di fatto ad essere azionista di peso del secondo gruppo bancario europeo, quando l’Italia ha dovuto fare il triplo salto mortale per salvare e nazionalizzare MPS, banca di tutto rispetto, ma dalle dimensioni incommensurabilmente più piccole di quelle del colosso che sta per nascere in Germania.
Crisi Deutsche Bank, derivati sono davvero il problema?
Il libero mercato non vale in Germania?
E’ la politica dei due pesi e delle due misure di Berlino, che teme adesso di dover finire per gettare la maschera anche sul “bail-in”, nel caso in cui DB non fosse in grado di camminare sulle sue gambe e necessitasse di un salvataggio pubblico. Cosa racconterebbe il suo governo ai partner dell’euro, se evitasse che le perdite ricadessero su azionisti, obbligazionisti e finanche correntisti, se fino ad oggi è stato interprete della linea dura su ogni dossier italiano? Ricordiamo che la Germania ha speso circa 240 miliardi di euro per salvare le sue banche con la crisi di un decennio fa, pretendendo solo a cose fatte che nessun altro stato in futuro potesse permettersi altrettanto, imponendo ai partner dell’Eurozona il “bail-in”, attraverso la direttiva comunitaria Brrd.
Stiamo assistendo a una presa in giro palese e senza che qualcuno a Bruxelles osi alzare il dito per chiedere conto. La cancelliera sta orchestrando, in barba al libero mercato, un’operazione di sistema, tesa a salvare una banca, facendola fondere con l’unica altra grande tedesca rimasta, evitando così che i due contraenti possano trovarsi rilevati da qualche attore straniero. In più, lo stato finirà per controllare in misura ancora più pregnante il credito alla media e grande industria, oltre che il mercato finanziario di natura speculativa. Come si fa a credere che DB-Commerzbank, nel prestare denaro alle imprese tedesche o nell’agire sui mercati finanziari internazionali, si comporterà in qualità di reale soggetto privato e libero dalle ingerenze pubbliche?
Tra i possibili dossier che si aprirebbero con la fusione, uno riguarderebbe i nostri BTp. Commerzbank ne ha iscritti a bilancio per 30,8 miliardi, ma dal valore di mercato pari a 27,7 miliardi. Con le nozze, la perdita sinora solo virtuale da 3,1 miliardi uscirebbe fuori- Non dimentichiamoci che la crisi dello spread nel 2011 fu scatenata dalle vendite di DB, che avendo rilevato Postbank, ebbe l’esigenza di vendere parte dei titoli di stato italiani in pancia, il cui ammontare complessivo risultava eccessivo rispetto alla propria media storica. Tuttavia, l’istituto comunicò malissimo tali cessioni e il mercato ne dedusse che stesse fuggendo dai BTp, temendone il crollo dei prezzi. Da lì, la tempesta finanziaria. Accadrà qualcosa di simile anche stavolta? Si spera di no, ma l’opacità del sistema bancario tedesco, tutt’altro che trasparente nelle sue regole di comportamento, non autorizza ad alcuna certezza, tranne quella che la Germania ha fatto, fa e continua a fare tutto quel che le pare sulle banche (e non solo), mentre agli altri partner dell’area lega le mani su tutto con regole apparentemente genuine, se non fosse che valgano per alcuni soltanto.
Deutsche Bank e crisi dello spread, ecco cosa devi sapere