Un’affermazione del commissario agli Affari monetari, Paolo Gentiloni, ha fatto saltare dalla sedia tutto il centro-destra italiano. L’ex premier ha puntato il dito contro la mancata ricezione in Italia della direttiva Bolkestein del 2006 sulle concessioni balneari. Egli ha fatto presente che, essendo il turismo una componente importante per l’economia italiana, sarebbe opportuno che tali concessioni fossero sfruttate appieno attraverso meccanismi di gara. Per tutta risposta, il leader della Lega, Matteo Salvini, ha sostenuto che il commissario minaccerebbe 30.000 operatori del settore e 300.000 lavoratori.
La direttiva Bolkestein stabilisce che i beni pubblici in concessione debbano essere oggetto di gare, al fine di stimolare la competizione tra soggetti sul mercato. Poiché le spiagge sono un bene pubblico, la disciplina si applica anche ad essa. Finora, interessi corporativi hanno dissuaso qualsiasi governo dal solo provare a introdurre un minimo di concorrenza in un settore così strategico per l’economia italiana. Addirittura, Tajani è arrivato ad evocare gli appetiti della mafia russa e cinese per segnalare il rischio di trasferire in capo a soggetti stranieri le concessioni balneari.
Il ministro per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini, è chiamata a fare il punto con i rappresentanti degli enti locali. Non sarà per nulla facile. Proprio il suo partito, Forza Italia, insieme alla Lega al governo e a Fratelli d’Italia all’opposizione stanno facendo muro contro qualsiasi riforma. Il decreto “Liberalizzazioni” del novembre scorso ha escluso proprio le concessioni balneari dalla concorrenza, confermando che neppure il governo Draghi sembri nelle condizioni di rispettare la direttiva europea.
Concessioni balneari, la necessità di aprire al mercato
Non tutte le critiche arrivate negli anni dal centro-destra sono infondate. Certamente, coloro che beneficiano dell’assegnazione di concessioni balneari hanno il diritto a un orizzonte temporale lungo nel corso del quale spalmare gli investimenti per garantirsi un recupero in termini monetari.
Se il centro-destra smettesse di ragionare solamente in termini puramente corporativi, dovrebbe chiedersi se sia ancora il rappresentante di chi voglia fare impresa o si limiti ad intestarsi la difesa delle rendite di posizione. Perché un giovane italiano oggi non dovrebbe essere nelle condizioni di ottenere una concessione balneare per investire in un’attività propria? Quale sarebbe il periodo di tempo sufficiente per garantire la remunerazione degli investimenti realizzati? Da diversi decenni, gli stessi operatori fanno il bello e il cattivo tempo sulle spiagge italiane, in moltissimi casi pagando canoni ridicoli. Ricordiamoci che le spiagge sono beni di tutti e che questa rivendicazione proprietaria dei soli noti appare assurda, oltre che infondata.
Sarebbe così insensato ipotizzare che ogni 10-15 anni le concessioni balneari vadano a gara? Davvero pensiamo che gli investimenti richiesti per avviare e mantenere un’attività presupponga l’impossibilità di introdurre minimi principi di concorrenza in questo settore? Oltretutto, la stessa Commissione riconosce che gli investimenti effettuati debbano essere tenuti in considerazione ai fini dell’assegnazione di una concessione. Sbagliata l’affermazione di Salvini sui presunti contraccolpi all’occupazione derivanti dalle gare. Al contrario, laddove c’è mercato i posti di lavoro crescono.