L’euro continua a perdere terreno nei confronti del dollaro per l’ottava settimana consecutiva. La perdita della valuta da metà luglio è superiore al 5% ed ora il cambio è a 1.07$. La dimensione del declino si può comprendere osservando ciò che è accaduto in tempi recenti, quando l’euro raramente era sceso sotto 1.10$. Una caduta eccezionale c’era stata quasi un anno fa, con il dollaro che aveva sorpassato l’euro per la prima volta in venti anni.
Adesso, con lo spettro di una recessione sull’Europa, l’euro è in calo costante, riflettendo un’economia in difficoltà che vede aumentare rapidamente il gap con gli Stati Uniti.
I tempi del cambio a 1,59$ sono un lontano ricordo, quando turisti europei viaggiavano negli Usa con le valigie vuote per fare acquisti oltreoceano.
Come si è arrivati a questa situazione?
Partiamo dal fatto che molti analisti non si aspettavano l’euro in calo così drastico, anzi avevano previsto un recupero sul dollaro dopo l’impennata del 2022 e l’abbassamento dei tassi da parte della Fed. È invece avvenuto il contrario. Neppure l’economia asiatica ha scalfito il potere del dollaro.
In condizioni normali, quando una banca centrale alza i tassi di interesse, la valuta locale aumenta il proprio valore sui mercati di scambio perché le obbligazioni statali e societarie diventano più attraenti per gli investitori.
Tuttavia, rispetto a quanto avvenuto negli Usa, in Europa non si è riusciti a tornare ad una situazione di normalità negli ultimi dodici mesi.
Afflitto dalla guerra tra Russia e Ucraina, dalla conseguente crisi del grano e dalla diffusa siccità nelle regioni meridionali, il Vecchio Continente non riesce a stimolare la crescita economica.
E a Bruxelles prevedono una crescita per il 2023 del solo 0.8%
La situazione negli Stati Uniti e il super dollaro
Negli Usa lo scenario è differente. Nonostante le leggera contrazione di agosto, il mercato del lavoro statunitense è stato sorprendentemente forte.
Visti i dati positivi, la Fed, di fronte alla crisi tedesca che trascina anche l’Italia, potrebbe pensare di alzare ancora i tassi di intesse oltre l’attuale 5,25%, rafforzando ulteriormente il dollaro a discapito dell’euro.
Lo spettro della recessione
Anche se il mercato del lavoro in Europa resta stabile, con un tasso di disoccupazione ai minimi storici (6.4%), l’inflazione è maggiore che negli Stati Uniti, specie per i prezzi di beni di prima necessità.
E fino a quando i livelli non torneranno alla normalità sarà difficile per l’Europa iniziare la ripresa. Se poi a questo si aggiunge il taglio della produzione petrolifera da Russia e Arabia Saudita, con il prezzo della benzina alle stelle, nuovi picchi di inflazioni non sono affatto esclusi.
Una situazione che spaventa gli esperti e scoraggia gli investitori.
Nazioni come Italia e Germania sarebbero tra le più colpite con quest’ultima, che rischia di vedere la sua economia con le spalle al muro: secondo i dati della Commissione Europea, nel secondo trimestre di quest’anno è cresciuta solo dello 0.1%, dopo una breve recessione tecnica, è potrebbe scendere a 0.4% nel 2023
Crisi euro: chi ci guadagna
L’Europa paga in dollari i prodotti energetici che importa, quindi il calo dell’euro influisce in maniera negativa sui paesi maggiormente dipendenti, come Spagna e Italia. I rincari dei prezzi vengono poi riversati sui consumatori, con una conseguente riduzioni dei consumi. Il tutto va così ad innescare un circolo vizioso che rallenta la crescita economica.
Tuttavia, non ci sono solo brutte notizie per l’Europa. La svalutazione della moneta rende le esportazioni più competitive sui mercati stranieri, perché i prezzi si abbassano senza inficiare i margini dei produttori.
Ne beneficia anche il turismo, perché i viaggiatori extra Ue trovano l’Europa più conveniente economicamente, grazie al cambio favorevole delle valute straniere.