Ottimo momento per l’euro, che si avvale in questa fase del rafforzamento dell’economia nell’Eurozona, il cui tasso di crescita quest’anno potrebbe toccare il 2%. La svolta per la moneta unica c’è stata con le elezioni in Francia, dove la vittoria di Emmanuel Macron ha allentato di molto le tensioni politiche nell’area, allontanando lo spettro di una sua rottura per la vittoria di candidati “populisti”. Il cambio euro-dollaro ha guadagnato quest’anno il 12%, mentre negli ultimi tre mesi l’euro risulta apprezzatosi mediamente del 5% contro un paniere di valute.
Al board dell’8 settembre, il governatore Mario Draghi potrebbe annunciare proiezioni in miglioramento sul fronte della crescita economica, ma in peggioramento sull’inflazione, allontanando il tasso annuo di crescita dei prezzi dal target dell’istituto di quasi il 2%. (Leggi anche: Cambio euro-dollaro, rialzo finito?)
Niente annuncio di tapering a settembre
Un euro più forte, come stanno in questi mesi toccando con mano i turisti dell’Eurozona andati all’estero, rende meno cari i beni e i servizi importati da economie esterne all’area e riduce l’inflazione. Alla prossima riunione dei banchieri centrali, quindi, Draghi potrebbe eccepire ai “falchi” del board che non sarebbe questo il momento di annunciare il “tapering”, ovvero il ritiro graduale degli stimoli monetari, altrimenti a rischio deragliamento vi sarebbe la ripresa dell’area, oltre che il target d’inflazione. (Leggi anche: Perché gli stimoli della BCE di Draghi non finiranno presto)
Gli analisti non sembrano ancora preoccupati dell’impatto del cambio sull’economia nell’Eurozona, ma avvertono che se contro il dollaro salisse nettamente sopra 1,20, vi sarebbero conseguenze negative per l’area, le cui esportazioni diverrebbero meno convenienti.
Pesa la divergenza monetaria attesa con la Fed
La tempistica, a dire il vero, non gioca molto in favore della BCE. Per evitare un apprezzamento ulteriore del cambio, dovrebbe rinviare l’annuncio del “tapering” ai board successivi, ma dopo settembre restano solo due appuntamenti utili allo scopo: ottobre e dicembre. Il “quantitative easing” si conclude alla fine del 2017, per cui il mese di dicembre sarebbe troppo tardi per preparare i mercati a un taglio degli stimoli. Rimane ottobre, ma che potrebbe essere un po’ presto per evitare che l’euro diventi ancora più super, dato che la Federal Reserve aumenterebbe i tassi USA solo a dicembre, con ogni probabilità.
Vero è che la mossa della banca centrale americana appare scontata, ma se alzasse i tassi prima della BCE, spingerebbe almeno temporaneamente il cambio euro-dollaro sotto pressione; viceversa, si rischia per Draghi di assistere a un rapporto superiore a 1,20, che una volta sfondato, potrebbe non scendere così facilmente. (Leggi anche: Cambio euro-dollaro a 1,20, ma perché rendimenti crollati?)