Si torna a parlare di Quota 41 come soluzione per le pensioni anticipate. I sindacati premono affinché tale opzione possa prendere il via dal 2023 insieme alla pensione a 62 anni.
Tutte proposte che, però, hanno poche chances di essere attuate. La riforma pensioni non può infatti avere ricadute sul bilancio, come ha sempre detto il premier Mario Draghi. Quindi qualsiasi cambiamento deve essere finanziariamente sostenibile senza interventi dello Stato.
Perché Quota 41 non si può fare
Ciò premesso, Quota 41, cioè il pensionamento con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età, è poco probabile.
La proposta avanzata dai sindacati di consentire l’uscita dal lavoro con Quota 41 costerebbe troppo. Lo conferma il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. Secondo il numero uno dell’Istituto
“la strada da seguire è quella di approfondire gli strumenti che già oggi permettono di lasciare il lavoro a 63 anni come l’Ape sociale. Credo che si debba consentire di anticipare il ritiro dal lavoro, prima dei 67 anni, a coloro che svolgono mansioni gravose”.
Al momento il governo non si è ancora espresso, né su quota 41, né sulle altre ipotesi di riforma delle pensioni. Segno che ci sono difficoltà a trovare una soluzione. Dal premier Draghi al ministro del Lavoro Orlando non trapela nulla, ma il tempo stringe.
Pensione con 41 anni di contributi solo per pochi
Introdurre il diritto alla pensione con 41 anni di contributi lederebbe poi gli interessi di chi finora ci è andato con 42 anni e 10 mesi (uomini) o 41 anni e 10 mesi (donne), secondo quanto previsto per le pensioni anticipate.
Quota 41 resta pertanto una chimera che non potrà essere realizzata – sostengono gli esperti di previdenza -. Mentre più attendibile potrebbe essere l’uscita (con penalizzazione) a partire da 64 anni di età.
Tuttavia Quota 41 resta una opzione valida per chi ha iniziato a lavorare presto (lavoratori precoci).