Preoccupati per un’inflazione ancora al 5,5% nell’Eurozona? Per l’Argentina sarebbe un sogno, visto che a giugno i prezzi al consumo sono risultati in crescita annuale del 115,6%. E accelerano la corsa. Per il quinto mese consecutivo, poi, segnano un aumento a tripla cifra. Il cambio continua a collassare. Ufficialmente, il dollaro acquista circa 280 pesos contro i 136 di un anno fa. Al mercato nero, però, si arriva a 525 pesos contro i 301 di un anno fa. Ed è per questa distanza tra cambio ufficiale e cambio reale che gli economisti danno per certa la svalutazione in Argentina entro fine anno.
Possibile uscita di scena dei peronisti
Ad ottobre si terranno le elezioni presidenziali. L’uscente Alberto Fernandez non si ricandiderà per un secondo mandato. Ha voluto evitare quella che sarebbe stata un’umiliazione totale. Tra l’altro, gran parte della sua stessa maggioranza non lo avrebbe sostenuto. La coalizione peronista al governo punta le sue carte su Sergio Massa, ministro dell’Economia dalla scorsa estate in sostituzione del dimissionario Martin Guzman. Ad agosto ci saranno le primarie e in quell’occasione si vedrà quale candidatura sia avvantaggiata tra i vari schieramenti. Stavolta, oltre al centro-destra tradizionale c’è la destra “trumpiana” di Xavier Milei. Tra i suoi propositi dichiarati, l’eliminazione della banca centrale e l’adozione del dollaro USA come valuta nazionale.
Fernandez ha definito “dannosa” la svalutazione in Argentina invocata dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) tra le misure per avallare la rinegoziazione dei prestiti per 44 miliardi di dollari. Soldi erogati a Buenos Aires tra il 2018 e il 2019 e che il paese sudamericano non è in grado di rimborsare. A preoccupare è il tracollo delle riserve valutarie. Quelle ufficiali sono scese a 26 miliardi, teoricamente sufficienti a coprire tre mesi e mezzo di esportazioni. Ma il dato relativo alle riserve effettivamente disponibili si è azzerato. Tant’è che la banca centrale ha stretto di recente un accordo con la Banca Popolare Cinese per il raddoppio degli “swap” a 19 miliardi di dollari.
Svalutazione Argentina quasi certa
Mosse della disperazione che avvicinano l’ipotesi di una svalutazione in Argentina subito dopo le elezioni. Checché ne dica il presidente uscente, sarà fondamentale per ripristinare un minimo di equilibrio per la bilancia commerciale e attirare capitali dall’estero. Insieme alle riforme economiche s’intende. L’FMI invoca misure di austerità fiscale a tale scopo. Senza, le importazioni rimarrebbero elevate. Il governo eccepisce che gli squilibri siano dovuti al crollo delle esportazioni di soia a causa della siccità. Una mezza verità, nel senso che il vero problema a monte è che l’Argentina non esporta nulla all’infuori delle derrate alimentari e non attira capitali dall’estero.
I bond sovrani stanno galoppando negli ultimi mesi, nella prospettiva sia di un cambio di governo e sia di una rinegoziazione dei prestiti con l’FMI. L’ottimismo non è fondato. Nel 2015, appena insediata a Casa Rosada l’allora presidente Mauricio Macri varò la svalutazione del cambio in Argentina come promesso in campagna elettorale. Ciò attirò capitali dall’estero, tanto che nel 2017 il paese fu in grado di emettere il suo primo bond in dollari a 100 anni. L’anno successivo, però, i ritardi e le incertezze nell’implementazione delle riforme provocarono una crisi finanziaria devastante. I pesos sono diventati carta straccia e l’inflazione è esplosa. Le condizioni di vita degli argentini sono profondamente peggiorate. In meno di venti anni ci sono stati tre default e il quarto è in vista.