Donald Trump non le sta mandando a dire da quando è tornato alla Casa Bianca meno di un mese fa. Aveva tutto il mondo contro in campagna elettorale e adesso sono tutti ai suoi piedi nel tentativo di non subirne i dazi. Ma il tycoon intende mantenere le promesse fatte agli americani e per questo si agita tra le cancellerie e le case d’investimento lo spettro della svalutazione del dollaro. Dalla fine di settembre, il biglietto verde è arrivato a guadagnare quasi il 10% e nel frattempo la Federal Reserve ha tagliato i tassi di interesse dell’1%.
Svalutazione del dollaro per rilanciare export USA
Tutto questo non può andare bene a Trump, che vede minacciato il tentativo di ridurre l’ingente disavanzo commerciale, che ormai si è stabilizzato ben sopra i 1.000 miliardi di dollari. L’America esporta poco nel resto del mondo e di certo il super dollaro non aiuta.
Al contrario, egli persegue esplicitamente la svalutazione del dollaro. In teoria, lo potrebbe fare tagliando i tassi fino ad azzerarli, così da far defluire i capitali all’estero. Tuttavia, a decidere è la Fed, che come tutte le principali banche centrali conduce una politica monetaria indipendente dai desideri dei governi.
E il guaio è che l’inflazione americana non scende, anzi continua a risalire, tanto da avere costretto a fine gennaio la Fed a sospendere il taglio dei tassi. Per questo il segretario al Tesoro, Scott Bessent, ha svelato nei giorni scorsi il piano B dell’amministrazione: ridurre i rendimenti a 10 anni. Anche in questo caso, però, non può avvenire per decreto presidenziale.
I rendimenti li fissa il mercato, a meno che la banca centrale non li limiti come fa il Giappone, che negli ultimi anni ha subito proprio un collasso dello yen.
America con debito monstre
C’è un problema anche qui: l’America ha un debito pubblico sopra i 36.000 miliardi di dollari, di cui per 28.500 miliardi in forma di titoli o Treasuries. Di questi, nel 2025 ne arrivano a scadenza quasi 3.000 miliardi, a cui si devono aggiungere quasi 2.000 miliardi di deficit da finanziare. Il mondo verrà sommerso entro dicembre da 5.000 miliardi di debiti americani da finanziare. Considerate che il Pil mondiale si aggira intorno ai 115.000 miliardi, per rendervi conto di quale sia l’impatto delle emissioni di Washington sul sistema finanziario.
Questi numeri sono importanti, perché il Tesoro americano ha bisogno che i creditori stranieri sottoscrivano i propri titoli. E per farlo hanno bisogno di confidare in due cose: che il debito rimanga sostenibile nel tempo e che il dollaro resti forte. Sul primo punto si addensano i dubbi negli ultimi anni, essendo salito sopra il 120% del Pil. E una svalutazione del dollaro rischia di accentuare i timori, perché i Treasuries diventano meno appetibili con la prospettiva che la valuta di denominazione si deprezzi. Questo spiega perché i rendimenti americani siano risaliti, al netto dei discorsi attorno all’inflazione.
Tesoro minaccia controllo della curva dei tassi
Fintantoché la svalutazione del dollaro non arrivasse e dispiegasse per intero i suoi effetti, il mercato resterà cauto sull’acquisto di titoli del debito USA. E questo Trump non se lo può permettere. Ecco perché deve concretizzare al più presto, senza tergiversare per mesi. Solo con uno shock “one shot” il mercato si mostrerebbe ben propenso a comprare Treasuries, intravedendo la possibile risalita del cambio negli anni futuri. Domanda: ma come realizzare l’operazione? Serve un coordinamento tra banche centrali per giungere a un qualche risultato apprezzabile.
L’ideale sarebbe che quelle straniere si mostrassero più restrittive della Fed, ma sta avvenendo il contrario per effetto delle migliori condizioni economiche negli USA.
Il problema di Trump è tutto qua: gli serve la svalutazione del dollaro per rilanciare le esportazioni americane, ma non sa come ottenerla e rischia nel frattempo di compromettere la solidità dei Treasuries sui mercati. Il controllo della curva dei tassi in tempi di inflazione ancora alta non sembra possibile. Esso presuppone la minaccia di acquisti illimitati di bond da parte della Fed per calmierare i rendimenti lungo le scadenze. Ma se i mercati testassero questa volontà, il governatore Jerome Powell si troverebbe costretto ad intervenire davvero, iniettando liquidità e finendo possibilmente con l’accentuare l’inflazione già sopra il target.
Svalutazione del dollaro tramite shock?
La speranza per Trump consisterebbe nel confidare sull’elevata credibilità che la Fed riscuote sui mercati internazionali. Del resto, resta validissima l’avvertenza “never fight the Fed” che spinge gli investitori a non scommettere mai contro gli annunci della prima banca centrale al mondo per non uscirne con le ossa rotte. Solo questo renderebbe possibile il controllo dei rendimenti, che a sua volta si tradurrebbe in una svalutazione del dollaro per il deflusso dei capitali fuori dagli USA. Con la speranza che basti per ravvivare le esportazioni, cosa tutt’altro che scontata. L’importante è fare tutto e subito. A Trump serve uno shock.