Trump teme maxi-svalutazione dello yuan
Problema risolto? No. Secondo Kyle Bass di Hayman Capital Management, una svalutazione dello yuan nell’ordine del 30% sarebbe inevitabile. Il punto è che se avvenisse in un solo colpo, da un lato arresterebbe i deflussi, dato che non ci sarebbe più ragione per temere ulteriori perdite di valore della moneta cinese, dall’altro manderebbe allo scatafascio i mercati finanziari di tutto il mondo.
Se Trump tacciasse la Cina di manipolazione del cambio, la PBoC non avrebbe più motivo per difendere lo yuan e lo lascerebbe fluttuare più ampiamente di quanto non faccia in questi mesi, ma con la conseguenza di svalutarlo di diversi punti, l’esatto contrario di quello che chiede il presidente americano.
Aldilà delle intenzioni dei cinesi, spazi ulteriori per la difesa del cambio potrebbero non esservene tanti. Dei 3.000 miliardi di dollari delle riserve, 1.000 sarebbero illiquidi, mentre altrettanti potrebbero servirne per salvare le banche locali. Ad occhio e croce, quando le riserve scenderanno intorno ai 2.500 miliardi, Pechino inizierà a svalutare lo yuan a piccole dosi giornaliere, l’unico modo che avrebbe per arrestare i deflussi. Da qui ad allora non dovrebbe passare molto tempo (un anno?) e dovremmo solo augurarci che non si tratti di una svalutazione a due cifre, perché avrebbe l’effetto di far schiantare i prezzi delle materie prime e di trascinare nuovamente le economie avanzate nella deflazione, oltre che in una possibile recessione, nel caso di disordini finanziari. (Leggi anche: Petrolio, quotazioni 2017 risentiranno del rischio Cina)