Svezia e Zimbabwe. No, non vogliamo scrivere su un incontro di calcio. Questi due stati sono assai diversi, forse un po’ su tutto. Il primo ospita una delle più ricche economie del pianeta, il secondo una delle peggio gestite. Analoghe le differenze sul piano della tutela dei diritti umani e delle libertà. Eppure, queste due società hanno qualcosa in comune più di quanto non ne hanno gli altri stati tra loro: sono diventate nella sostanza “cashless”.
La Svezia rivuole il suo denaro in contante, la Germania lo difende dai pagamenti digitali
Se andate in vacanza in Svezia, evitare di commettere l’errore di portarvi dietro un portafogli pieno di banconote e monetine in corone locali.
Troppo poco contante in giro
Nel 2018, si stimò che appena il 13% delle transazioni veniva ancora effettuato in contanti. Per il resto, persino le chiese si sono attrezzate per ricevere le offerte tramite app. I problemi non mancano. La Riksbank ha invitato le banche a fornire più cash ai clienti, denunciando il rischio di crescente emarginazione per le fette della popolazione più deboli, come anziani, indigenti senza accesso al conto corrente ed immigrati.
Ora, se un po’ ce lo saremmo aspettati dalla Svezia, quasi nessuno immaginerebbe che lo stesso stia accadendo in una terra così povera come lo Zimbabwe. Qui, il prodotto interno lordo pro-capite risulta ancora inferiore ai 2.000 dollari l’anno. Ma il contante quasi non esiste. Gli abitanti dell’ex Rhodesia sono stati costretti, loro malgrado, a compiere un salto tecnologico impensabile fino a pochi anni fa.
Pagamenti in contante azzerati, persino offerte in chiesa via app in Svezia
Il caso Zimbabwe
Era il 2008 e il paese, guidato sin dal 1981 dal presidente Robert Mugabe e in carica fino al 2016, veniva travolto dall’iperinflazione. I prezzi esplosero e il dollaro locale valeva meno della carta straccia. Le banconote venivano appallottolate per giocare a palla. Per uscire dalla crisi, la Reserve Bank decise che non avrebbe più stampato moneta. Gli scambi da allora avvengono perlopiù in dollari americani, ma anche in euro, sterline, yen, rand sudafricani, etc. Dopo qualche anno, però, emerse un grosso problema: poiché l’economia domestica era e resta poco competitiva, non vi erano sufficienti dollari USA con cui scambiare merci e servizi.
Sovranità monetaria? Proteste contro l’ipotesi di una nuova moneta nazionale
La penuria di valuta circolante costrinse anni dopo il governo ad emettere i cosiddetti “bond notes”, al tasso di cambio di 1:1 contro il dollaro. Immaginate che oggi il governo italiano vi dicesse che i soldi del monopoli valgano quanto gli euro ufficiali. Ci credereste? Certo che no. E, infatti, nemmeno la popolazione abboccò e il prezzo di questi titoli crollò subito sul mercato. Fatto sta che non si sapeva più come pagare. Da qui, il repentino passaggio alla moneta elettronica. Non stiamo parlando di carte di pagamento, bensì di app sul telefonino. Ecocash è quella più diffusa e si calcola che ormai il 96% delle transazioni nello Zimbabwe viene effettuato tramite mobile.
I problemi dietro l’evoluzione
Nel complesso, l’Africa ha una forte predisposizione ai pagamenti da cellulare. Pensate che su 168 milioni di utenti attivi nel mondo, 100 milioni vengono da questo continente. Come mai? Poiché grossa parte della popolazione qui non dispone ancora di alcun accesso ai servizi bancari, risulta più comodo e immediato scaricarsi un’app con cui pagare e magari ricevere denaro dagli emigranti.
Ma pagare con l’app, per quanto ormai perlopiù l’unica opzione disponibile agli abitanti del paese africano, costa di più. Chi riceve il pagamento, infatti, impone prezzi più alti, a causa del maggiore rischio percepito. Nei negozi di abbigliamento di Harare, ad esempio, 100 dollari americani equivalgono a 135 dollari dei “bond notes” e a 170 se pagati con Ecocash. C’è scarsa fiducia nel governo e in tutto ciò che esso riesca a controllare. E i dollari, stampati da Zio Sam, continuano a riscuotere il maggiore successo.