Stati Uniti nel caos istituzionale. Lo speaker della Camera, Kevin McKarthy, è stato sfiduciato nella serata di martedì da parte della sua stessa maggioranza e il suo posto è temporaneamente vacante. Non era mai successo nell’era moderna. La deposizione avviene a pochi mesi dal suo insediamento e nel bel mezzo delle trattative tra repubblicani e democratici per evitare la chiusura delle attività federali o “shutdown”. I deputati trumpiani non hanno apprezzato il cedimento dell’ormai ex speaker a favore delle richieste della Casa Bianca.
Agenzie rating minacciano USA
Le stesse agenzie di rating nutrono da tempo dubbi circa la sostenibilità fiscale della superpotenza, il cui debito è arrivato a ridosso del 130% del PIL. Dopo che in agosto anche Fitch ha tolto la tripla A ai T-bond, resta solo Moody’s tra le principali agenzie ad assegnare loro ancora il massimo giudizio. Tuttavia, ha avvertito nei giorni scorsi che l’eventualità di uno “shutdown” minaccerebbe tale rating.
I numeri spiegano cosa starebbe accadendo ai T-bond e perché i rendimenti sono esplosi ai massimi dal 2007. Come sappiamo, i principali creditori degli Stati Uniti sono Giappone e Cina. Il primo deteneva nel luglio scorso 1.112,5 miliardi di dollari in titoli del debito americano, la seconda 821,8 miliardi. Un anno prima, le rispettive detenzioni si attestavano a 1.230,7 e 939,2 miliardi. In valore, una discesa di oltre 235 miliardi. In termini percentuali, i due sono passati in un anno dal possedere circa il 9,3% del debito complessivo degli Stati Uniti al 7,7%.
Asia difende tassi di cambio
Contando tutti i creditori stranieri, scopriamo che le esposizioni sono cresciute di quasi 80 miliardi in un anno.
Anzitutto, perché il mondo si sgancerebbe dai T-bond? Ci sarebbero dietro ragioni economiche e geopolitiche. Prendete proprio Giappone e Cina. Le rispettive valute stanno precipitando contro il dollaro. Lo yuan è sceso ai minimi dal 2007, lo yen si è riportato ai minimi da un anno a quota 150, praticamente agli stessi livelli del 1990. Solo per limitarci alla seconda e terza economia mondiale, esse hanno la necessità di tutelare i tassi di cambio. Come? Vendendo dollari, ovvero titoli del debito in essi denominati, e cessando gli acquisti netti di T-bond.
T-bond vittime di guerra al dollaro?
In altre parole, mentre Washington continua a indebitarsi come se non ci fosse un domani, il resto del mondo non è più in grado o voglioso di finanziarne gli squilibri fiscali. Anche perché la Cina sta orchestrando insieme agli alleati noti impropriamente come Brics una “guerra” al dollaro. E quale migliore occasione, se non quella di tagliare progressivamente gli acquisti di T-bond per fare capire come stiano davvero le cose? Gli Stati Uniti hanno confidato per troppi anni eccessivamente sulla capacità e volontà dell’Asia, in particolare, di investire sul loro mercato sovrano. Non hanno adottato una politica fiscale equilibrata e l’estrema litigiosità politico-istituzionale ha impedito la ricerca di soluzioni condivise per arrestare la corsa del debito.
Come abbiamo avvertito di recente, Washington rischia di alimentare una grave crisi fiscale mondiale, scaricando anche sull’Europa gli effetti della propria inadeguatezza circa le politiche di bilancio.