La sensazione è che ci vorrà tempo per capire dove stiamo effettivamente dirigendoci nel mondo. I dazi annunciati dal presidente americano Donald Trump con tanto di tabella in mondovisione hanno confermato le paure della vigilia. Numeri difficili da comprendere, perché forse non c’è niente in fondo da analizzare sotto di essi. Solo una giustificazione massmediatica e poco fondata del perché le altre economie mondiali debbano pagare di più per esportare sul mercato americano. Ma l’Europa tutto può permettersi, fuorché salire in cattedra e alzare il dito da maestrina di turno. E la questione non è quel dazio medio del 39% che imporremmo sulle merci americane – un dato fake – bensì l’allegra manipolazione del cambio di tutti questi anni.
Draghi artefice di manipolazione del cambio
Qualche settimana fa, l’ex premier e già governatore della Banca Centrale Europea (BCE), Mario Draghi, ammetteva candidamente ad un’audizione in Parlamento che l’Unione Europea ha impostato la sua politica sulla concorrenza interna. Ha così compresso la domanda, ragione per cui i salari sono cresciuti poco. A dire il vero, in Italia sono persino scesi in termini reali, come certificato dall’OCSE.
Draghi ha praticamente accusato Bruxelles di avere affossato l’economia europea con l’austerità fiscale. Avrebbe dovuto, ma non potuto, completare il ragionamento parlando della politica monetaria. Egli è perfettamente consapevole che la BCE dovette sin dalla crisi dei debiti sovrani perseguire una gestione dei tassi di interesse volta a tenere compressi rendimenti e spread, favorendo allo stesso tempo l’indebolimento dell’euro per potenziare le esportazioni. Insomma, ha dovuto attuare la manipolazione del cambio per sopperire alla carente domanda interna.
Tassi negativi e QE per indebolire l’euro
Tra assurdità come tassi negativi e acquisti massicci di bond sui mercati, il cambio euro-dollaro sprofondò da quasi 1,40 a cui si trovava nella primavera del 2014 a poco sopra la parità già dal 2015. E sarebbe sceso ulteriormente finanche sotto la parità negli anni recenti, per la prima volta dopo 20 anni. Questa politica salvò l’euro dalla scomparsa altrimenti certa per via delle tensioni finanziarie nell’area. Fu il “whatever it takes“ di Draghi ad avere arrestato il sell-off ai danni di BTp e Bonos, restringendo gli spread e riportando la fiducia sui mercati. Ma a pagarne il prezzo furono i risparmiatori, “espropriati” a colpi di tassi azzerati e costretti a spostarsi su asset più rischiosi, meglio all’estero, per poter mettere a frutto la liquidità.
Tant’è che in Germania la stampa definì nel decennio scorso Draghi “assassino dei risparmi”. Espressione forte, che fa capire quale sia stata la reazione nel Nord Europa alle sue politiche. La manipolazione del cambio ai danni delle altre valute, principalmente il dollaro, non è passata inosservata a Washington. E’ stata subita e accettata quale accettazione della posta in gioco. In fondo, i tassi negativi si sono tradotti una fuga dei capitali dall’UE verso gli Stati Uniti. A testimoniarlo è stato lo stesso Draghi, che ha parlato di un deflusso costante di circa 300 miliardi di euro all’anno.
Super dollaro nuoce ad economia USA
Tuttavia, quel denaro ha favorito la borsa americana, cioè Wall Street. Con Trump alla Casa Bianca l’attenzione si sta spostando su Main Street, cioè sull’uomo della strada. E la sensazione è che alla fine gli americani che non vediamo in tv, non rilasciano interviste e vivono in case poco cool per i canoni hollywoodiani, alla fine siano stati fregati da questa tendenza globale (non solo europea) alla manipolazione del cambio. Il dollaro è troppo forte, l’economia americana va relativamente bene, ma a colpi di spesa pubblica in deficit, bolla azionaria e immigrazione di massa. La situazione non è sostenibile.
UE nasconde manipolazione del cambio
E allora se la tabella sui dazi di Trump è stata redatta per gli ingenui, altrettanto dicasi di quella mostrata dall’UE, in base alla quale il dazio medio applicato alle merci americane da noi sarebbe del 2,7%. Anche questo è “cherry-picking”, cioè selezione dei numeri che fanno comodo. Bisogna aggiungere le barriere non tariffarie, ossia migliaia di leggi e regolamenti tesi a scoraggiare le importazioni dall’estero. E bisogna tenere conto della manipolazione del cambio di cui sopra, che si è tradotta in un “dazio” occulto del 30%. Se poi pensiamo che prima della crisi del 2008 il cambio euro-dollaro sfiorasse 1,60, capiamo ancora meglio cosa sia accaduto. Trump è americano, ma se fosse napoletano, da showman consumato avrebbe guardato dritto alla telecamera al Rose Garden e rivolgendosi agli europei “parassiti” avrebbe detto: “uagliò, qua nisciun è fess”.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
mi sfugge capire il ragionamento, come si e’ favorito export se nel cambio chi si e’ rafforzato e’ l,euro…? se importiamo ci costa meno ma chi compra in dollari paga di piu’. se oggi si compra bond in $ e poi l’euro si indebolisce la cedola scema per il cambio, fino a negativo, quindi essendo descritto questo se un americano ha comprato bond in euro ci ha guadagnato, ma i tassi erano bassissimi
In realtà è l euro che si è indebolito. Il cambio euro dollaro è passato da 1,6 prima del 2008 a 1,1attuale.