Taglio del cuneo fiscale provvisorio o definitivo? Il problema sono le pensioni

Il governo Draghi valuta l'opportunità di aumentare gli stipendi degli italiani con un taglio al cuneo fiscale. Ecco le possibili soluzioni.
2 anni fa
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Legge di Bilancio Taglio del cuneo fiscale
© Pixabay

Gli italiani hanno da decenni un problema di redditi bassi. Negli ultimi mesi, ci si è messa l’inflazione alle stelle a defalcare il loro potere d’acquisto. Siamo l’unico paese dell’area OCSE in cui gli stipendi reali sono diminuiti tra il 1990 e il 2020. Il premier Mario Draghi ha riconosciuto ufficialmente tale problema, pressato tra l’altro dal Movimento 5 Stelle su richieste come l’introduzione del salario minimo. E in conferenza stampa, martedì sera ha prospettato il taglio del cuneo fiscale, parlando della necessità di risolvere il problema dei redditi in maniera strutturale.

Guardate, non è un’assoluta novità. Nel nostro Paese, se ne discute da troppi anni e non se ne viene mai a capo. La politica italiana è notoriamente inconcludente, ma quando si parla di cuneo fiscale esistono problemi difficili da affrontare, se non prendendo di petto il sistema economico del suo insieme.

Cos’è il cuneo fiscale

Anzitutto, cosa significa cuneo fiscale? E’ un’espressione informale che designa la differenza tra il costo del lavoro sostenuto dall’impresa e la busta paga percepita dal lavoratore. Non è un mistero che in Italia il primo sia alto, la seconda mediamente bassa. Tale apparente paradosso si spiega con il fatto che l’impresa debba pagare altissimi contributi previdenziali sullo stipendio, al contempo dovendo trattenere da esso una tassazione IRPEF altrettanto pesante.

Il governo Draghi ha ridotto un po’ la tassazione sui redditi delle persone fisiche, abbassando la seconda e la terza aliquota IRPEF rispettivamente dal 27% e 38% al 25% e 35%. I beneficiari sono stati i contribuenti con redditi superiori ai 15.000 euro. Tra l’altro, anche il ricalcolo delle detrazioni sui redditi da lavoro ha premiato questa fascia dei contribuenti, assorbendo al contempo l’ex bonus Renzi da 100 euro al mese.

Verso il taglio dei contributi INPS

Tagliare il cuneo fiscale significa, quindi, a questo giro agire sui contributi INPS.

In generale, l’impresa versa il 23,81% dello stipendio lordo, il lavoratore un altro 8,89%. In totale, 32,7%. Dall’inizio dell’anno, i lavoratori con redditi lordi fino a 35.000 euro all’anno usufruiscono già di un esonero contributivo dello 0,8%. L’intento del governo Draghi sarebbe di aumentare tale esonero, così da aumentare le buste paga di una media di almeno 70-80 euro al mese. Confindustria da mesi propone sgravi per oltre 1.200 euro l’anno, così da offrire ai dipendenti una retribuzione in più all’anno.

Finora, però, non è chiaro se il taglio del cuneo fiscale sarebbe provvisorio o definitivo. Stando alla prima ipotesi, esso riguarderebbe le sole ultime quattro retribuzioni del 2022, cioè da settembre a dicembre. Una misura una tantum che costerebbe allo stato non meno di una decina di miliardi. A causa della ristrettezza delle risorse disponibili, possibile anche che la platea dei beneficiari sia ridotta, abbassando la soglia massima dei redditi lordi a cui il beneficio spetterebbe.

I costi della riforma

Ma se Draghi ha parlato di “misure strutturali” per aumentare le retribuzioni nette dei lavoratori, significa che il taglio del cuneo fiscale sarebbe definitivo. Chi pagherebbe? I contributi INPS versati mensilmente da imprese e lavoratori servono per pagare nell’immediato le pensioni di chi oggi è in quiescenza e alimentano il montante sul quale saranno calcolate le future pensioni degli attuali lavoratori. La riduzione dei contributi, a cui tutti giustamente aspiriamo, sottrarrebbe risorse all’INPS per pagare le pensioni. A meno che lo stato non tagli gli assegni o allunghi l’età pensionabile per risparmiare – ma si sta andando in tutt’altra direzione – le casse dell’istituto si svuoterebbero.

Infine, taglio del cuneo fiscale equivarrebbe, con il metodo contributivo, a ridurre l’entità degli assegni dei futuri pensionati. In un’ottica di lungo periodo, la soluzione sembra corretta.

Minori contributi previdenziali aumenterebbero l’occupazione e stimolerebbero anche la crescita degli stipendi. Negli anni, il beneficio dovrebbe superare il costo, purché quella di Draghi non fosse la classica cattedrale nel deserto, ossia una norma slegata dal contesto delle riforme economiche necessarie per dare impulso al mercato del lavoro. Il governo lo sta tenendo in considerazione o è mosso solo dalla volontà di placare le piazze in autunno?

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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