Il governo Draghi ha destinato complessivamente al taglio delle tasse fino a 12 miliardi di euro, ma poiché trovare un accordo tra i partiti di questa sgangherata maggioranza appare praticamente impossibile, se n’è lavato le mani circa le modalità di implementazione. Spetterà al Parlamento decidere quali saranno i soggetti beneficiari. A parole, tutti parlano di favorire il “ceto medio”, salvo dividersi persino sulla definizione stessa.
Lega e Forza Italia vorrebbero abbassare l’aliquota IRPEF del 38% gravante sui redditi lordi annui compresi tra 28.000 e 55.000 euro.
Cercando di essere concreti, chi farebbe parte di questo famoso ceto medio italiano? Non esiste una definizione standard oggettiva. Con questa espressione si fa riferimento di solito a quel corpaccione, che costituisce l’ossatura economica e valoriale del Paese. Sul piano strettamente economico, uno dei metodi utilizzato consiste nell’includervi tutti i contribuenti che dichiarino redditi annui tra il 75% e il 150% del reddito mediano. Poiché nel 2019, quest’ultimo si aggirava intorno ai 20.000 euro, ne deduciamo che in Italia apparterrebbero al ceto medio coloro che abbiano dichiarato tra 15.000 e 30.000 euro.
Taglio delle tasse per quale ceto medio?
La definizione appare abbastanza restrittiva. Solamente il 35% degli italiani sarebbe parte del ceto medio. Ma, soprattutto, potremmo escludervi famiglie con 3.000 euro lordi di reddito al mese? Evidentemente, no. E allora, ecco che potremmo immaginare di raddoppiare il limite superiore, innalzandolo a 60.000 euro. Tutti gli italiani con redditi tra 15.000 e 60.000 euro apparterrebbero al ceto medio. Sarebbero poco più della metà della popolazione complessiva, per l’esattezza il 52,4%.
Se ampliassimo, quindi, la definizione di ceto medio, comprendendovi tutti i redditi tra 15.000 e 70.000 euro, otterremmo che esso sarebbe composto dal 69% della popolazione, una percentuale grosso modo compatibile con lo stesso concetto sotteso a tale definizione. Escludendo i redditi più bassi e quelli più alti, infatti, più di due italiani su tre potrebbero oggi definirsi ceto medio. Chiaramente, farne parte non significa affatto vivere in condizioni socio-economiche simili. Una cosa sarebbe guadagnare 15.000 euro all’anno, un’altra 70.000.
Ed è qui che la politica italiana non trova la quadra sul taglio delle tasse. Favorire il ceto medio significherebbe abbassare le aliquote a chi guadagna 20-30.000 euro o a chi ne guadagna 50-60.000? Il problema è anche di incentivi: stangare i redditi già a partire da 28.000 euro all’anno con una maxi-aliquota del 38% implica il rischio di sostenere l’evasione fiscale, l’economia sommersa o di precludere la crescita stessa ai redditi medi. E teniamo conto che oggi coloro che non versano un euro di tasse sono quasi 13 milioni di contribuenti, mentre coloro che dichiarano più di 70.000 euro contribuiscono per il 29% dell’intero gettito IRPEF. Il ceto medio, invece, secondo la classificazione estensiva di cui sopra versa il 67% del totale.