Una bella sforbiciata alle tasse sui capital gain. Sembra questa la ricetta di Trump per rilanciare l’economia USA messa in ginocchio dalla pandemia.
Il contrario di quanto avviene in Europa e in special modo in Italia. Da noi, le manovre fiscali sui guadagni in conto capitale sono sempre ben accolte dai movimenti politici di sinistra e dai sindacati. Anzi, come se non bastasse, c’è pure chi benedirebbe una patrimoniale lacrime e sangue sui depositi bancari, già pesantemente vessati dal fisco.
La tassazione delle plusvalenze negli USA
Negli Stati Uniti il presidente Trump ha appena annunciato di voler ridurre del 20% le aliquote sul capital gain. Uno slogan elettorale sicuramente, ma anche un modo per non allontanare gli investitori da Wall Street qualora i democratici andassero alla Casa Bianca. Negli USA, la tassazione delle plusvalenze funziona diversamente che in Italia. Il trattamento fiscale sui guadagni derivanti dalla vendita di attività finanziarie o reali è diverso a seconda che si tratti di plusvalenze di lungo periodo (“long term capital gain”) o di breve periodo (“short term capital gain”). Per le grandi aziende, l’aliquota è pari al 21% dei guadagni, mentre per le persone fisiche bisogna distinguere fra investimenti di breve e lungo periodo. Nel primo caso il guadagno viene assoggettato ad aliquota ordinaria del soggetto dichiarante, invece nel secondo caso non si paga nulla se si possiede un reddito annuo inferiore a 39.375 Usd. Al di sopra di tale soglia e fino a 434.550 Usd si paga il 15% (oltre si versa il 20%).
Trump: tasse sui capital gain giù del 20%
Secondo alcune stime economiche, il taglio di un punto percentuale delle tasse sulle plusvalenze di beni materiali (immobili, auto di lusso, imbarcazioni, ecc.) e immateriali (strumenti finanziari) attirerebbe nuovi capitali pari a cinque volte tanto il mancato introito nelle casse dell’erario. Quindi, ogni 100 Usd di imposte perse, il mercato attirerebbe 500 Usd.
E in Italia?
Da noi purtroppo le imposte sulle plusvalenze di immobili o strumenti finanziari sono al 26%. Solo sulla compravendita di titoli di stato l’aliquota rimane agevolata al 12,50%, ma c’è chi dietro le quinte dei palazzi preme per portala al pari di tutto il resto. Per il risparmiatore comune, poi, non vi è possibilità di pagare le tasse in base al reddito realizzato durante l’anno godendo altresì di una franchigia, come avviene negli USA. In Italia si paga anche su un solo euro di guadagno, tanto il ricco quanto il meno abbiente. Un’ingiustizia? Forse. Del resto il legislatore quando ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento fiscale le imposte sul capital gain nel 1998, non si è certo avveduto di parametrarle al reddito. Stessa negligenza da parte del governo Monti che nel 2012 innalzò le aliquote dal 20 al 26% senza andare tanto per il sottile introducendo perfino la Tobin Tax.
Da noi impensabile tagliare le tasse sul capital gain
Detto questo, pare impensabile che il governo Conte possa abbassare le imposte sul capital gain in Italia. Mancano i soldi per riformare le pensioni e rimodulare le aliquote Irpef, figuriamoci se possiamo permetterci di abbassare le tasse sui guadagni di borsa o sulle transazioni immobiliari. Cosa che, al contrario, attirerebbe capitali e ridarebbe fiato a un mercato immobiliare profondamente martoriato dalla crisi e dalla pressione fiscale (Imu) e a una borsa valori fra le peggiori del continente europeo.