E’ accordo nella maggioranza sulle modifiche da apportare alla legge di Bilancio per il 2025. L’incontro di lunedì tra la premier Giorgia Meloni e i due vice e alleati Matteo Salvini e Antonio Tajani ha trovato la quadra. La materia fiscale ha assorbito gran parte della discussione, nonché delle tensioni nelle ultime settimane. Una delle novità che ha messo tutti d’accordo è stata l’introduzione della cosiddetta Ires “premiale”, che si traduce in un taglio dell’aliquota dal 24% al 20%.
Taglio Ires chiesto da Confindustria
La scorsa settimana, il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, aveva invocato maggiore coraggio su questo tema, prospettando un 2025 complicato per l’economia.
Non ci sarà per il momento il taglio dell’Irpef sul secondo scaglione di reddito dal 35% al 33% come richiesto dagli “azzurri”. Bisogna prima capire quale sia il gettito del concordato preventivo biennale. Il costo dell’intervento ammonterebbe ad almeno un paio di miliardi, ha spiegato Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia. Ci sarà, invece, l’aumento da 30.000 a 35.000 euro del limite per i redditi da lavoro dipendente entro cui continuare a beneficiare della flat tax per i lavoratori autonomi sui redditi fino a 85.000 euro. Era una richiesta del Carroccio, ma solo parzialmente esaudita: Salvini pretendeva l’innalzamento della soglia a 100.000 euro, inclusivi dei redditi da lavoro dipendente fino a 50.000 euro.
Imposta sui profitti
Torniamo al taglio dell’Ires. Stiamo parlando dell’imposta sui redditi delle persone giuridiche. In pratica, essa grava sui profitti di aziende come spa, srl, ecc. Un tempo si chiamava Irpeg. L’aliquota è attualmente del 24% e Confindustria chiedeva di portarla al 19% a determinate condizioni. Il governo la abbasserà al 20%, a patto che il 70% degli utili d’impresa venga reinvestito o vada a creare nuovi posti di lavoro.
Il taglio dell’Ires è certamente una buona notizia, non solo per il mondo delle imprese. Ridurre la pressione fiscale su chi produce ricchezza stimola gli investimenti, la crescita e l’occupazione. Il vantaggio è per l’intera economia italiana. L’Ires “premiale” è un concetto che lascia per certi versi perplessi. Il legislatore vorrebbe distinguere la tassazione a seconda dell’uso che se ne fa degli utili. All’apparenza una buona idea, in quanto incentiva proprio gli investimenti e l’occupazione. Il problema è che si finisce per sussidiare questi ultimi e per creare una sorta di “bolla”.
Ires premiale distorsiva
Spieghiamoci meglio. Le imprese investono in capitale umano e beni fisici per massimizzare l’efficienza gestionale e la produzione. Quando lo stato interviene dall’esterno per rendere l’uno o l’altro fattore della produzione relativamente più conveniente, altera il mix che rende efficiente la produzione. Le imprese finiscono con l’avere o troppi lavoratori o capitale fisico in eccesso. Alla lunga, la minore efficienza si riflette in un calo della produzione e in prezzi non in linea con il mercato.
Questo è il rischio a cui può portare il taglio dell’Ires selettivo. Non è lo stato che deve decidere chi merita di pagare minori imposte. Queste devono essere quanto più neutrali possibili rispetto ai meccanismi di produzione della ricchezza. D’altronde, è da decenni che sussidiamo le assunzioni al Sud e i risultati semplicemente non esistono. Sotto Roma i tassi di occupazione restano i più bassi d’Europa. Le imprese ne approfittano semplicemente per pagare minori contributi e/o imposte per lavoratori che avrebbero assunto anche senza incentivi.
Taglio Ires sia neutrale
A mitigare tale rischio c’è il fatto che il taglio dell’Ires sarà coperto parzialmente dal punto di vista finanziario dalla cancellazione del superbonus 120% del costo per i nuovi dipendenti. Dunque, la portata distorsiva del provvedimento sarebbe compensata dall’eliminazione di un’altra distorsione simile. Con questo non vogliamo negare che sia importante sostenere l’occupazione e gli investimenti. Il concetto è che questi possono crescere con regole neutre e non con l’interventismo statale.