Il Covid sta già lasciando macerie economiche, sociali e finanziarie enormi in tutto il mondo. E per rimuoverle serviranno entrate fresche di denaro nelle casse degli stati. I governi già cercano il modo per aumentare l’imposizione fiscale senza dichiararlo in maniera palese. La tassa di successione sarebbe il primo passo che l’Italia dopo la pandemia compirà per venire incontro alle richieste dell’Unione Europea sul risanamento dei conti pubblici.
Il tema si sta ponendo in diversi altri stati, tra cui gli USA.
L’Italia ha un gettito di appena 800 milioni di euro all’anno dalla tassa di successione. In rapporto alle sue entrate, parliamo di qualcosa come lo 0,1%. La media OCSE si attesta allo 0,5%. In Francia, si arriva all’1,4% e in Corea del Sud all’1,6%. E’ di qualche settimana fa che la famiglia di Lee Kun-hee, il defunto ex proprietario della Samsung, dovrà versare alle casse di Seul qualcosa come 12 miliardi di dollari in 5 anni. E poiché non dispone di tutta la liquidità occorrente, cederà al Museo Nazionale una ricchissima collezione di quadri di Monet, Picasso e Dalì per sfoltire il debito fiscale.
Tassa di successione in Italia: le franchigie
L’Italia ha una tassa di successione considerata molto generosa nei confronti degli eredi. A renderla molto bassa ci pensano le franchigie. A titolo di esempio, un coniuge o i figli versano il 4% della somma eccedente 1 milione di euro per ciascun beneficiario. Per intenderci, se un padre di famiglia lascia in eredità beni per un controvalore di 3 milioni di euro in parti uguali alla moglie e ai due figli, nessuno pagherà nulla.
Quali sono i pro e i contro di cui si dibatte sulla tassa di successione? I fautori sostengono che essa redistribuisce la ricchezza colpendo quelle eredità che finirebbero per privilegiare alcuni individui senza alcun merito specifico. Una tassa di successione congrua spronerebbe i figli di genitori benestanti a lavorare di più, dato che in futuro dovrebbero fare meno affidamento sui lasciti. I contrari ritengono, invece, che i costi supererebbero i benefici: l’individuo sarebbe portato a risparmiare e lavorare di meno e a consumare di più, specie a ridosso della pensione. Inoltre, molte ricchezze potrebbero essere spostate in paesi con una tassazione inferiore delle eredità. In definitiva, si rischia di compromettere la stessa crescita dell’economia, disincentivando le persone a risparmiare e investire a favore di figli e nipoti.
Lotta reale alle disuguaglianze?
Nel caso dell’Italia, poi, esiste una specificità che renderebbe l’aumento della tassa di successione ancora più indesiderabile. Molte eredità nel nostro Paese sono piccole e medie imprese che passano di padre in figlio. La stangata finirebbe per mettere in difficoltà finanziarie gli eredi, dato che l’esigenza di saldare il debito con lo stato costringerebbe alla liquidazione di parte degli assets. Ma così facendo, la stessa operatività aziendale ne risulterebbe intaccata.
E poi siamo così sicuri che la tassa di successione sia una mano santa contro le disuguaglianze? I dati sembrano smentire tale assunto. Il Regno Unito deriva da questa imposta un gettito pari allo 0,7% del totale contro il doppio della Francia.