LA TASSA DI CONCESSIONE GOVERNATIVA SULLA TELEFONIA MOBILE NON E’ STATA ABOLITA
La tassa di concessione governativa che va corrisposta in merito all’uso del telefoni cellulari, non è stata cancellata e come tale si applica fino a quando non interviene un’esplicita e diretta abrogazione. Come tale, sono considerati legittimi i rifiuti opposti dagli uffici alle richieste di rimborso che avanzano gli enti locali, i comuni. Questa è la massima principale che emerge da una pronuncia della Commissione tributaria regionale di Venezia, con la sentenza n.
TASSA CONCESSIONE GOVERNATIVA CELLULARE: UNA VICENDA ITALIANA
I fatti prendono le mosse da alcune richieste di rimborso presentate nel 2009 all’ufficio delle Entrate di Vicenza 1, da parte di sette Comuni, che chiedevano la restituzione di quanto versato, come tassa di concessione governativa. La tassa in questione riguardava il versamento mensilmente, mediante il gestore di telefonia mobile in qualità di sostituto d’imposta, di un importo variabile tra i 5,16 e i 12,91 euro, per ogni singola utenza telefonica acquistata dal comune.
TASSA GOVERNATIVA CELLULARI RIMBORSO NON ACCORDATO – Vedendosi rifiutata la loro istanza di rimborso, i comuni in questione hanno presentato ricorso davanti alla Commissione tributaria provinciale di Vicenza, additando come illegittimo il comportamento tenuto dall’Agenzia delle entrate e chiedendo di conseguenza di dichiarare illegittimo il diniego avuto. La Commissione tributaria regionale vicentina adita, ha sottolineato come l’imposta in questione non è stata cancellata nel 2003 quando è entrato in vigore il codice delle comunicazioni, ma tuttora è applicato. I Comuni, secondo quanto espresso dai giudici tributari vicentini, non sono esenti dal versamento della tassa. Nel caso di specie inoltre, i Comuni ricorrenti, hanno chiesto il rimborso di circa 64 mila euro, insieme agli interessi. Contro la sentenza, hanno però proposto appello, andando così in secondo grado di giudizio. In appello, però sono state confermate le argomentazioni mosse in primo grado, ribadendo così l’applicazione attuale dell’imposta e la non esenzione dal suo versamento per i comuni.
TASSA CONCESSIONE GOVERNATIVA TELEFONINI: UN PO’ DI STORIA
Volendo svolgere un breve excursus normativo questa imposta, la tassa di concessioni governative sui servizi radiomobili, è stata introdotta con il Dl 151 del 1991, all’articolo 3, aggiungendo alla voce 131, della Tariffa collegata al Decreto del Presidente della Repubblica, il n. 641/1972.
Per permettere la celerità dei commerci, il ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, considerando l’opportunità di aggiornare la disciplina del servizio radiomobile pubblico terrestre di conversazione, allo scopo di permettere l’utilizzo anche di strumenti e apparecchi terminali portatili ed estraibili, ha adottato il Decreto n. 33 del 13.02.1990.
Ed è questa la fonte normativa, tuttora vigente in tema di concessione governativa su telefonia mobile, il presupposto legislativo per applicare ai contratti di servizio radiomobile la suddetta tassa di concessione governativa. La commissione tributaria regionale ha ammesso l’applicazione dell’articolo 21, Tariffa allegata al Dpr 641/1972, poiché è ancora vigente e non è stato abrogato, come viene confermato anche dal fatto che la disposizione del Dpr 641/ 72 è stata sì modificata dalla legge 244/2007, ma si è esclusa la possibilità che la tassa medesima sia stata cancellata nel 2003, per opera dell’articolo 218 del Decreto legislativo n 259/2003, norma che di fatto ha confermato l’applicabilità attuale dell’articolo 21.
LA LICENZA E L’ABBONAMENTO PER L’USO DI APPARECCHIATURE TERMINALI
In particolare, nel Dpr 641/1972, si è sottoposto a questa tassa i provvedimenti amministrativi e gli altri atti elencati nell’annessa tariffa nella misura e nei modi indicati nella tariffa stessa , così come prevede l’articolo 1. L’articolo 21 della Tariffa annessa prevede l’applicazione di un tributo a fronte del rilascio di ogni licenza o documento sostitutivo per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazioni. Secondo la Commissione in questione, sia la licenza sia il documento sostitutivo, che non è altro che l’abbonamento telefonico, sono due tipi di atti, tra di loro alternativi, che il legislatore ha voluto sottoporre alle tasse sopra indicate.
In pratica, dato che l’articolo 28 del Dm 484/88 prevede che ogni spesa, imposta o tassa, comunque riguardante il contratto di abbonamento, è a carico dell’abbonato, nel caso in oggetto, la tassa sulle concessioni governative pesa sulle Amministrazioni comunali, che hanno stipulato il contratto con il gestore. Infatti, l’abbonamento telefonico è il documento sostitutivo della licenza che l’articolo 21 Dpr 641/72 della Tariffa qualifica come presupposto della tassa in questione, alternativo alla stessa licenza. In secondo grado viene confermata la sentenza di primo, equiparando così i Comuni alle Amministrazioni statali. Per la Commissione regionale, posto che se è vero che lo Stato non deve versare a se stesso che gli spetta, è altrettanto vero che tale assunto non può applicarsi, in via analogica, a fattispecie diverse e non espressamente considerate dal legislatore.
Come è stato esplicato in primo grado, perché si possa usare un’interpretazione analogica, occorre che sussista un vuoto normativo da colmare, rinviando ad altra norma che regolamenta una materia analoga. Ciò posto, nel caso della tassa di concessione governativa, in riferimento diretto alla possibile esenzione dalla tassa, non vi è alcun vuoto normativo, poiché vige sia l’articolo 13-bis del Dpr 641/1972, che espressamente individua i casi in cui è ammessa l’esenzione, sia i singoli articoli dell’annessa Tariffa, in cui sono individuati i possibili casi di ulteriore esenzione.
CONCLUSIONI
Con questa pronuncia, i giudici tributari ritornano a occuparsi della spinosa questione sul versamento, da parte degli enti locali, e quindi dei comuni, della tassa di concessione governativa per i telefonini. Mediante una ricostruzione analitica delle norme che riguardano la tassa in questione, la Commissione veneziana ha sottolineato la vigenza e la mancata abrogazione dell’articolo 3 del decreto ministeriale 33/1990, come fonte normativa per applicare ai contratti di servizio radio mobile, la tassa di concessione governativa.