Potrebbe non essere una decisione del governo quanto piuttosto una sorta di “tassa sulla riapertura“, così come percepita da alcuni piccoli imprenditori, a convincere a mantenere abbassata la serranda della propria attività fino a che non entreremo nella fase 4 ovvero quando tutto tornerà, magari con qualche lieve differenza, alla normalità di prima, del pre coronavirus.
Riapertura attività per fasi: ecco la bozza del programma e possibili date in calendario
Abbiamo visto in che ordine, secondo le decisioni del governo, le attività potrebbero riaprire.
Quanto costa riaprire: conviene veramente alzare la serranda?
Chiariamo prima di tutto che quando parliamo di “tassa sulla riapertura” ovviamente (ma sempre meglio ribadirlo visto l’abbondare di fake news) non ci riferiamo ad un’imposta prevista dal governo. A coniare questa espressione forte ma emblematica è stata una delle persone che abbiamo intervistato sull’argomento, riferendosi ai costi che gli esercenti saranno chiamati ad affrontare per poter riaprire in sicurezza, riducendo al minimo il rischio di contagi. Ovviamente questa è una premura e un interesse anche per i titolari delle attività ma ci si chiede “è giusto che siano loro a sobbarcarsi il costo delle attrezzature e degli strumenti necessari per garantire sicurezza e distanza o non dovrebbe essere piuttosto lo Stato a fornire materiale ed equipaggiamento necessario?”.
La tassa sulla riapertura spaventa i pesci piccoli e non solo
Ieri è stata la volta delle librerie, le prime a riaprire in quasi tutta Italia (salvo ordinanze regionali più restrittive). Ma non tutte hanno accolto l’invito del governo. Sulla pagine facebook di Libreria on The Road, gestita da due libraie di Montesilvano, viene pubblicata una lettera al governo elaborata dal gruppo LED – Librai Editori Distribuzione in rete, di cui riportiamo qualche stralcio:
“Come libraie e librai siamo contenti di questa improvvisa attenzione al nostro lavoro, ma ci sarebbe piaciuto ci fosse stata anche prima delle misure governative per il contenimento della pandemia e, soprattutto, ci piacerebbe ci fosse dopo: se siamo dei luoghi essenziali del tessuto culturale italiano, allora sarebbe il caso che questa funzione ci fosse riconosciuta sempre e in modo strutturale, attraverso una serie di misure economiche a sostegno delle nostre attività nel quotidiano.
Mentre sono ancora in vigore misure che costringono le persone dentro casa e sospendono la mobilità, viene chiesto a noi librai e, di conseguenza ai nostri lettori, di tornare a muoverci per raggiungere le librerie.
Ci siamo adoperati tutti quanti, come cittadini prima di tutto, a rispettare le regole, a proteggere gli altri e noi stessi, ci siamo fermati e abbiamo pensato, cercando modi alternativi di continuare a fare rete, cultura e dove possibile servizio.
Ci siamo re-inventati sui canali digitali, abbiamo raccontato libri a distanza, abbiamo studiato le formule giuste per permettere ai libri di arrivare alle porte delle persone senza mettere in pericolo nessuno, abbiamo messo in atto modalità, come quella delle consegne e spedizioni a domicilio, in assenza di un contesto normativo chiaro e unitario, per non perdere il contatto con i lettori”.
Se alla decisione di riaprire possono aver contribuito lettere e appelli che fanno forza sul valore e sul conforto culturale del libro, la prima domanda da porsi è: a quali condizioni? E perché tra le firme di questi appelli mancano proprio quelle dei librai?”
I dubbi riguardano la possibilità di garantire la sicurezza di chi lavora e dei lettori ma ci sono anche difficoltà economiche:
“È stato considerato cosa significhi in merito alla possibilità di concordare sulla base dell’art. 1623 c.c una congrua riduzione dei canoni di affitto delle nostre attività,l’intervento di una disposizione che ci dà facoltà di riaprire ma a fronte di una prevedibile e consistente riduzione delle vendite? Aiutare le librerie, in quanto riconosciuti luoghi di produzione di cultura, non prevedrebbe invece la possibilità di una norma che consenta ai proprietari dei nostri locali di godere loro di un credito di imposta equivalente alla riduzione che ci accorderebbero sulle pattuizioni contrattuali relative al canone di locazione ed alle spese relative?” e ancora “Perché non creare un fondo nazionale o una partnership con i servizi postali, simile nella premessa alle iniziative attualmente sostenute dal contributo libero degli editori, ma su finanziamento statale, per aiutare le librerie a sostenere la gestione economica delle forme alternative di vendita attualmente in atto (spedizioni fuori città, spedizioni a domicilio ecc.)?”
Riaprire l’attività: chi aspetterà la fase 4?
E se per le librerie è stato dato il semaforo verde per la riapertura c’è chi potrà ufficialmente farlo nella fase 2 o 3.
Cinzia è una parrucchiera di Pescara e ammette: “Noi parrucchieri dovremo ridurre giustamente il numero di clienti al giorno e lavorare solo su appuntamento. Ma non solo: ci chiedono asciugamani usa e getta, guanti e mascherine, pettini e poggia testa per le poltrone sterilizzati. Ma quanto costerà tutto questo? Quanto dovrei chiedere per una piega?”.
Stesse preoccupazione si riscontrano tra i ristoratori, alcuni dei quali stanno pensando alle difficoltà a riaprire senza incentivi statali: un ristoratore di Chieti Scalo ha pubblicato un video in cui fa due conti in base alle nuove regole annunciate: meno posti seduti e costi per materiali per garantire la sicurezza contestualmente all’obbligo di mantenere i livelli occupazionali.
Nel frattempo si attende la decisione per gli stabilimenti balneari ma sicuramente sarà un’estate diversa e ci saranno regole da seguire al mare: lettini distanziati, materiale usa e getta per bar e ristorazione, disinfestazione della sabbia. Quanto costerà tutto questo? Anche in questo campo i più piccoli potrebbero preferire rinunciare all’apertura nell’immediato e rimandare alla fase 4?