Sta facendo discutere la proposta di uno degli uomini più ricchi della Terra, nonché a capo della società simbolo del progresso tecnologico degli ultimi decenni. Parliamo di Bill Gates, filantropo per natura, che si è già impegnato a lasciare il 99% del suo immenso patrimonio in beneficenza, quando passerà a miglior vita. Qualche giorno fa, il patron di Microsoft ha lanciato l’idea di “tassare i robot”. Egli ha giustificato questa scelta, sostenendo che “se un lavoratore produce per circa 50.000 dollari l’anno, viene tassato.
Tassare i robot, quindi, per cercare di rendere neutrali le scelte delle imprese, in ordine alla sostituzione del fattore lavoro con la tecnologia. Un’idea popolare, diciamocelo, perché è naturale che in una società tecnologicamente avanzata, sia sempre più ampia la fetta di lavoratori a sentirsi minacciata dall’introduzione di macchinari sempre più efficienti e in grado di sostituire la forza umana in misura crescente. (Leggi anche: Colloqui di lavoro fatti da robot, nuova frontiera dell’automazione)
Tassare i robot idea popolare, ma rischiosa
In questi giorni, la protesta dei tassisti romani contro Uber, l’applicazione che consente a più persone di condividere un tragitto e le relative spese del viaggio, non è altro che una delle tante dimostrazioni di paura montante contro la tecnologia, percepita come rischio per il lavoro e lo status quo.
L’idea di Gates potrebbe apparire persino giustificata sul piano economico: se il fattore lavoro viene tassato, perché non dovrebbe esserlo pure il suo sostituto? L’assunzione da cui parte è, però, oltre che errata, persino pericolosa. I robot, ovvero la tecnologia, non nascono dal nulla, ma sono frutto di investimenti, spesso esosissimi, che richiedono a loro volta l’impiego di risorse umane con un know how avanzato, accumulato grazie ad anni di studi ed esperienze qualificanti.