Il governo Draghi punta a rivedere la tassazione delle rendite finanziarie. Per gli obbligazionisti sarebbe un’ottima notizia. L’attuale legislazione si presenta farraginosa e incomprensibile per certi aspetti. Il rischio per molti detentori di bond consiste nell’impossibilità di compensare fiscalmente le perdite con i guadagni. Vediamo un caso un po’ estremo con il BTp settembre 2044 e cedola 4,75% (ISIN: IT0004923998).
Questo titolo è stato emesso nel lontano 2013 e, pertanto, offre una cedola elevata per i livelli a cui siamo ormai abituati a vedere di questi tempi.
Fatto presente tale aspetto, capiamo quanto la cedola annuale netta effettiva sia ben più bassa. In effetti, sui 1.000 euro di investimento nominale riceveremmo 47,50 euro, ma avendone spesi 1.655, incasseremmo un flusso di reddito pari al 2,51% dell’esborso, al netto della tassazione del 12,5%. E proprio quest’ultima rileverà anche alla scadenza. Il Tesoro ci restituirà i 1.000 euro del capitale, una cifra nettamente inferiore ai 1.655 euro spesi. Quei 655 euro in meno incassati saranno per noi una minusvalenza.
Maxi-credito d’imposta sul BTp 2044
Lo stato ci riconoscerà un credito d’imposta, pari all’aliquota del 12,5% sul valore della minusvalenza patita. Nel nostro caso, sarebbero 81,875 euro. Rispetto all’esborso dei 1.655 euro, inciderebbero per il 4,95%. A tanto ammonterebbe, dunque, il nostro credito d’imposta. Su base annua, ovvero suddividendo per i 23,1 anni rimanenti da qui alla scadenza, farebbero lo 0,214%. Ma c’è un ostacolo da superare per riscuotere tale credito d’imposta: entro i 5 anni successivi bisognerà riuscire a compensarlo con debiti d’imposta maturati su eventuali plusvalenze. In caso contrario, il credito è perduto.
Nello scenario peggiore, il rendimento netto annuale dell’investimento nel BTp 2044 scenderebbe, quindi, dello 0,21%.