Le Commissioni Finanze di Camera e Senato hanno dato il via libera nei giorni scorsi alle proposte di riforma fiscale del governo Draghi. Abbiamo già qualche certezza: nessuna patrimoniale, né una rivalutazione dei valori catastali come richiesto dal PD. Importanti novità arriverebbero, invece, sul fronte della tassazione delle rendite finanziarie.
Al momento, queste sono sottoposte a un’aliquota del 26% nella generalità dei casi, salvo per i titoli di stato (12,5%) e i fondi pensione (20%). Si vocifera che l’esecutivo punterebbe ad equiparare tale aliquota a quella minima versata dai contribuenti IRPEF del 23%.
Non è solo un fatto di livello impositivo. La tassazione delle rendite finanziarie sarebbe finalmente resa più razionale. L’Italia è l’unico stato in cui si opera una distinzione tra “redditi da capitale” e “redditi diversi”. Per i primi s’intendono quelle remunerazioni che si ottengono dall’investimento in capitali, come i dividendi azionari e le cedole obbligazionarie. Per i secondi si fa riferimento alle plusvalenze e alle minusvalenze che si ottengono quando si rivende un titolo finanziario a prezzi maggiori/inferiori a quelli di acquisto.
Tassazione rendite finanziarie, governo unito?
Da questa distinzione deriva l’impossibilità per l’investitore-contribuente di compensare utili e perdite relativi allo stesso titolo. Ad esempio, se subisco una minusvalenza dalla rivendita o dalla scadenza di un bond, non posso compensarla con le cedole ai fini impositivi. Per non parlare di astrusità legislative, per cui gli utili realizzati da un investimento in fondi comuni sono trattati come redditi da capitale, mentre le perdite come redditi diversi.
Riuscirà la composita maggioranza di governo a trovare un’intesa su una tassazione delle rendite finanziarie più leggera? A sinistra, si eccepisce che le risorse sarebbero dirottate a favore degli investimenti speculativi e non della creazione di ricchezza reale.