La questione del rialzo dei tassi di interesse ha occupato buona parte del dibattito pubblico negli ultimi mesi. E questo per una ragione estremamente semplice: le maggiorazioni hanno direttamente interessato i risparmiatori e i loro investimenti.
In primis quello riguardante la prima casa, visto che lo step al rialzo dei tassi ha trascinato in parabola ascendente le rate dei mutui a tasso variabile. In alcuni casi, costringendo i titolari a esborsi monstre per riuscire a garantirsi la regolarità sul piano dei pagamenti.
È chiaro che, a fronte di un periodo di grave crisi, sia nel costo della vita che del sostentamento tramite il lavoro, ritrovarsi a dover pagare rate di mutuo che, alla peggio, hanno toccato addirittura i 900 euro, sia quantomeno proibitivo per la stragrande maggioranza dei contribuenti. Per questo l’argomento ha destato l’interesse delle parti politiche, alla ricerca di una soluzione che possa garantire perlomeno un freno alla marcia dei tassi, a quanto pare necessaria per riequilibrare le potenzialità finanziarie europee.
Il Consiglio dei Ministri, in data 7 agosto, ha approvato la proposta del “prelievo straordinario a carico degli intermediari finanziari”. In sostanza, gli istituti di credito saranno chiamati a versare un proprio contributo fiscale a fronte di un credito maturato per quasi 50 miliardi di euro. In questo senso, basti pensare che banche di grandi dimensioni come Unicredit e Intesa Sanpaolo, da sole, hanno realizzato utili netti pari addirittura a 8,5 miliardi di euro. La tassa sugli iperprofitti si presenta, quindi, come una soluzione volta a perseguire l’obiettivo dell’equità sociale, palesandosi peraltro solo al maturare di determinate condizioni.
Tasse sui profitti monstre: cosa cambia al mutuo se le banche pagano di più
Il sistema di prelievo scatterà in base ai profitti registrati.
A fronte di un esborso fiscale maggiore, infatti, gli istituti di credito potrebbero decidere fisiologicamente di incentivare i profitti sul “business” dei mutui, rendendo di fatto i costi dei finanziamenti pressoché inaccessibili per una larga fetta di contribuenti. Specie i più giovani, o comunque coloro in possesso di accordi lavorativi meno stabili.
Mutui vecchi e nuovi
Al momento, si parla addirittura di un aumento dello 0,5% per quel che riguarda il costo del prestito per le imprese, così come per le rate dei mutui che saranno attivati nel secondo semestre del 2023. In sostanza, per pareggiare l’obbligo dell’equità fiscale, il rischio è quello di rendere invalicabile la soglia di accesso ai finanziamenti. Con l’ulteriore variabile, anch’essa da tenere in serissima considerazione, che per i nuovi contraenti possa sommarsi il nuovo rialzo dei tassi di interesse applicati dalla Banca centrale europea. Chiaramente, qualora fosse realmente questa la strada percorsa, non saranno toccati i mutui già in essere. Eppure, il vicepremier Matteo Salvini assicura che, secondo i suddetti principi di equità, gli introiti saranno devoluti in aiuti per i mutui prima casa. Oltre che al taglio delle altre imposte per i contribuenti ordinari.
Le (possibili) agevolazioni
Il gettito della nuova imposta dovrebbe aggirarsi sui 3-4 miliardi di euro. Parte dei quali potrebbero essere effettivamente destinati al potenziamento dei fondi di sostegno ai contraenti al di sotto dei 36 anni. E con reddito Isee al di sotto dei 40 mila euro. La garanzia pubblica potrebbe toccare l’80%. Al momento, però, tale possibilità ha una scadenza (peraltro già prorogata), ossia il 30 settembre 2023. Inoltre, resterebbe il problema della rata mensile, visto che i tassi sarebbero destinati a salire ancora.
Riassumendo…
- Il Governo si prepara a richiedere una tassa sugli extraprofitti alle banche, applicabile sui guadagni maggiorati nel 2022 rispetto al 2021;
- la prima conseguenza potrebbe essere il rialzo dei costi di accensione dei mutui prima casa;
- parte del gettito previsto dovrebbe essere destinato al sostegno dei giovani contraenti. I tassi di interesse, però, sono destinati a salire ancora.