In audizione dinnanzi alla Commissione bancaria del Senato per essere investito ufficialmente del secondo mandato, il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, ha confermato che l’economia americana stia crescendo ai ritmi massimi da molti anni. Ma al contempo ha avvertito sui rischi di un’inflazione duratura sopra il target, per cui ha prospettato una serie di rialzi dei tassi americani per quest’anno. Nelle stesse ore, un altro componente del board, Raphael Bostic, entrava più nei dettagli, sostenendo la necessità di alzare il costo del denaro per tre volte nel corso del 2022, ma con la possibile necessità di un quarto aumento.
Lo stesso Bostic ha detto che “poco dopo” marzo, mese in cui ritiene debba essere avviata la stretta monetaria, il bilancio della FED dovrebbe essere tagliato. In altre parole, non soltanto saliranno i tassi americani, ma l’istituto tornerà a vendere bond. In teoria, il combinato tra le due dichiarazioni avrebbe dovuto colpire i Treasuries e rafforzare il dollaro. E’ accaduto l’esatto contrario. Un po’ perché si tratta di eventi grosso modo scontati dai mercati, un po’ anche perché Powell ha voluto addolcire la pillola (con un occhio alla borsa?), spiegando che a suo avviso i tassi americani rimarranno bassi a lungo.
Tassi americani reali negativi
Il rendimento del Treasury a 10 anni è sceso all’1,75%. Era salito all’1,78% nelle ore precedenti, ai massimi da due anni, cioè da prima che arrivasse la pandemia. Oggi, il dato sull’inflazione negli USA a dicembre è atteso al 7%. Se fosse confermato, il rendimento reale decennale americano sarebbe del -5,25%. I tassi americani saliranno e si trascineranno dietro i rendimenti sovrani e corporate, ma proprio nessuno crede che torneranno sopra l’inflazione nel breve e medio termine. Dunque, nessun panico. Starebbe semplicemente finendo l’era dell’ultra-easy money per lasciare il posto a una dell’easy money.
Nell’Eurozona, i tassi BCE non sono attesi in rialzo almeno fino a tutto quest’anno. Ieri, il capo-economista di Francoforte, Philip Lane, ha dichiarato che non ci sarà quasi certamente alcun aumento del costo del denaro nel 2022, in quanto l’inflazione nell’area sarebbe destinata a ripiegare. Da aprile, l’istituto non acquisterà più bond con il PEPP, anche se aumenterà gli acquisti condotti con il “quantitative easing”. L’unica variabile che rischia di sfuggire alle banche centrali è l’ancoraggio delle aspettative d’inflazione. Se il mercato dovesse temere che la scarsa reazione degli istituti sia dovuta non già alla previsione di tassi d’inflazione contenuti e in calo nei prossimi mesi, bensì al mantenimento di condizioni monetarie espansive per governi, imprese e famiglie, inizierebbe a scontare un rialzo dei prezzi superiore al target, finendo per rendere necessaria una stretta più veloce e dura della tabella di marcia sin qui fissata.