Nel luglio 2012, la banca centrale di Danimarca tagliava i tassi al record minimo del -0,2%. Per la prima volta, un istituto adottava i tassi negativi per sostenere le aspettative d’inflazione e, nel caso specifico, per proteggere il “peg” con l’euro. A distanza di quasi un decennio, stupisce semmai che tra le grandi banche centrali all’idea resista ancora la Federal Reserve. In Europa, i rendimenti obbligazionari sono sottozero per lunghi tratti della curva e siamo arrivati all’assurdo che stati semi-falliti come la Grecia offrano meno degli USA, pur al netto del fattore cambio.
Ma se l’intento delle banche centrali con i tassi negativi fosse di tendere ai rispettivi target d’inflazione, sembra che stiano per essere accontentate. Secondo l’indice FAO sui prezzi alimentari, il rincaro nei 12 mesi al marzo scorso è stato mediamente di quasi il 25%. Considerate che nei 5 anni precedenti, la crescita cumulata era stata di appena il 2%, meno di 12 volte più lenta. Se lo zucchero costa il 30% in più, i prodotti caseari segnano +16%, i cereali +26,5% e gli oli vegetali ben +86%. Ad esempio, l’olio di palma oggi segna l’ennesimo record storico di 4.408 ringgit per tonnellata, +117%. Ancora meglio sta facendo un’altra materia prima: il legname. In un anno, costa +355%.
Dai tassi negativi all’effetto Cobra
Eppure, le banche centrali rischiano di non avere neppure il tempo di accennare a un sorriso di soddisfazione. Rischiano di rimanere vittime del cosiddetto “effetto Cobra”. Quando l’India era ancora una colonia del Regno Unito, a Delhi tempestava la presenza di cobra. Al fine di risolvere il problema, il governatorato garantì una ricompensa a quanti consegnassero la pelle del rettile. Ma si ritrovò a fronteggiare conseguenze del tutto indesiderate. Fiutato l’affare, molti indiani diedero vita a una vera industria di allevamento di cobra. Consegnando le pelli alle autorità, intascavano la ricompensa, ma in città i serpenti per le strade non si riducevano affatto.
E fu così che, compreso l’inganno, il governatorato ritirò la compensa. A quel punto, allevare cobra non rendeva più e molti improvvisati imprenditori li abbandonarono in giro per Delhi, aggravando il problema. Ecco, per effetto Cobra s’intende un’azione dello stato che produce risultati opposti a quelli desiderati. Con i tassi negativi, le banche centrali pensavano di stimolare i consumi e gli investimenti e, per tale via, la crescita economica e l’inflazione. Al netto del Covid, si sono ritrovate a gestire economie ancora più stagnanti e tassi d’inflazione prossimi allo zero.
Le ragioni del flop
Come mai? Sul fallimento dei tassi negativi potremmo aprire un dibattito annoso. Tenete presente che solamente nell’ultimo decennio la borsa americana sia salita di circa il 210%. Nel frattempo, i rendimenti dei bond sono collassati, specie in Europa e Giappone, sia in termini nominali che reali. Dunque, gran parte della liquidità sprigionata dai tassi negativi è stata impiegata nella sfera finanziaria, dove i guadagni sono stati più rapidi, facili e sicuri. Ciò spiegherebbe anche la bassa inflazione rilevata in tutto il mondo avanzato. Per non parlare del problema delle famiglie, i cui risparmi non vengono più remunerati a sufficienza o per nulla da anni. Anziché consumare di più, sono costrette a consumare di meno per accantonare maggiori risorse a favore del futuro, come la vecchiaia.
Non da ultimo, i tassi negativi tengono in vita aziende decotte, poco produttive, con contraccolpi per la crescita complessiva dell’economia e per l’occupazione. Di riflesso, anche i prezzi al consumo ristagnano. Dicevamo, però, che adesso l’inflazione starebbe risalendo un po’ ovunque, tanto da generare panico tra governi e banche centrali. Attenzione, perché i livelli a cui si attesta ancora sono storicamente bassi.
E’ allarme debiti
Avete presente quando non puoi più fare a meno di un’idea sbagliata? Questa è la situazione in cui ci troviamo. Sostituite tassi negativi con droga e aziende/governi con drogati e capirete meglio. Fino a 10 anni fa, se ci avessero detto che ci saremmo finanziati sui mercati a tassi medi anche solo dello 0,25-0,30%, avremmo strabuzzato gli occhi e fatto salti di gioia. Erano tempi in cui ancora il mercato prestava denaro al governo italiano al 4-5%. Ebbene, se oggi ci dicessero che tra qualche mese potremmo finire a pagare anche solo l’1,5-2% sulle nuove emissioni, entreremmo nel panico.
In questo lungo ultimo decennio, il rapporto debito/PIL non ha fatto che salire e la crescita dell’economia non s’è vista proprio. La minore spesa per interessi solo parzialmente si è tradotta in abbassamento del deficit. Per il resto, è stata impiegata per rianimare proprio i tassi di crescita, ma senza risultati. Se torna l’inflazione, anche gli interessi sul debito saliranno, ma è probabile che lo facciano anche in termini reali. Questo, perché il mercato sa che senza la droga somministrataci dalla BCE il nostro debito pubblico risulta non sostenibile, cioè è più rischioso. La situazione è così seria, che le banche centrali si stanno già inventando il concetto di “simmetria” con cui tollereranno un’inflazione superiore ai target per un certo periodo. La speranza è che essa rallenti dopo l’impennata e che i tassi negativi possano giustificarsi a tempo indeterminato.