Telecom ha sottoscritto con Cassa Depositi e Prestiti e Enel un accordo di confidenzialità, teso a valutare la possibile integrazione della propria rete con quella in fibra ottica di Open Fiber, controllata al 50% ciascuno proprio dalle due società. Qualora l’intesa si concretizzasse, verrebbe varato un aumento di capitale riservato per pagare la CDP in azioni, mentre Enel verrebbe saldata in contanti. In conseguenza di ciò, la prima entrerebbe nel capitale di Telecom con una quota inferiore al 24%, ma potenzialmente capace di farne il primo azionista del gruppo, davanti alla stessa Vivendi.
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L’accordo dovrebbe essere finalizzato entro l’estate e dovrà passare prima per il cda Telecom, il quale a sua volta dovrà convocare un’apposita assemblea straordinaria degli azionisti, trattandosi di un’operazione che contempla l’emissione di nuove azioni e la conseguente diluizione dell’azionariato attuale nel capitale. Di fatto, l’integrazione tra la rete Telecom e quella di Open Fiber farebbe della compagnia una controllata dello stato italiano, essendo la CDP nelle mani del Tesoro per l’83%.
Non è proprio un fulmine a ciel sereno. Da almeno un anno e mezzo esistono voci concrete di una simile operazione e alla vigilia delle elezioni politiche, fu lo stesso governo Gentiloni a tentare il blitz – riuscito – facendo entrare la CDP nel capitale di Telecom con una quota inferiore inizialmente al 5% e salita successivamente al 9,9%, dando manforte alla scalata di Elliott in funzione anti-francese. E così fu. Dalla primavera dello scorso anno, infatti, i rapporti di forza in assemblea si sono ribaltati, con Vivendi ad essere stata messa in minoranza, pur detenendo la maggioranza relativa del capitale con poco meno del 24%.
Il doppio KO di Vivendi in Italia con l’affare Mediaset
Resta da vedere quanto verrà valutata Open Fiber. Gli analisti la stimano in almeno 3 miliardi, Mediobanca arriva fino a 8 miliardi.
Nei giorni scorsi, si era diffusa l’indiscrezione su un possibile accordo tra i francesi di Bolloré e il fondo di Paul Singer per tentare una governance comune, ipotesi che contemplava nomine concordate per il rinnovo del cda, ma che avrebbe dovuto fare i conti con il rischio di OPA obbligatoria, trattandosi di due azionisti che, operando a quel punto di concerto, si vedrebbero sommate sul piano giuridico le quote detenute per valutarne il peso complessivo. L’ingresso della CDP, tuttavia, muterebbe drasticamente gli equilibri. In teoria, sposterebbe la maggioranza in seno all’assemblea verso la controllata del Tesoro, grazie al sostegno dei fondi stranieri, oltre che della stessa Elliott, nonché per mezzo della riduzione di peso della stessa Vivendi.
I francesi uscirebbero con le ossa rotte dalla loro campagna d’Italia. Già con l’affare Mediaset hanno rimediato una dura sconfitta, perché oltre a vedersi congelata dall’AgCom la quota eccedente il 10%, da qualche settimana il Biscione ha spostato la sede legale in Olanda, dove usufruirà di una sorta di blindatura del suo controllo nel capitale e il rafforzamento del peso anche in seno al cda, con la previsione di un rinnovo delle cariche su nomina del vecchio board e che l’assemblea ha modo di bocciare solamente con una maggioranza di almeno i due terzi, cioè mai, considerato che tra azioni dirette e Fininvest, la famiglia Berlusconi controlla la società per oltre il 40%.
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