Terremoto finanziario, ecco cosa può accadere con la guerra dei dazi già iniziata

La guerra dei dazi può scatenare un terremoto finanziario, il cui impatto rischia di sentirsi più che altro in Europa e Asia.
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Terremoto finanziario con la guerra dei dazi
Terremoto finanziario con la guerra dei dazi © Licenza Creative Commons

La Cina ha reso pan per focaccia agli Stati Uniti di Donald Trump, annunciando dazi del 15% su carbone e gas e del 10% sul petrolio. E apre anche un’indagine su Google per presunte violazioni della legge antitrust. Da oggi scattano, infatti, i dazi americani del 25% sulle merci di Canada e Messico (10% sul greggio canadese) e del 10% aggiuntivo su quelle cinesi. Il terremoto finanziario è servito, ancor prima che la guerra commerciale faccia vedere i suoi effetti.

Terremoto finanziario con la deglobalizzazione

Cosa succede quando i governi impongono gli uni i dazi sulle merci degli altri? Il costo di tutte le importazioni lievita, per cui i prezzi al consumo salgono. In sostanza, ci sarà inflazione. Questo è il primo tempo. Nel secondo tempo, i volumi interscambiati tra le economie si riducono, perché gli europei comprano meno prodotti americani e gli americani meno prodotti europei, ecc. I consumatori, infatti, troveranno relativamente più costosi gli acquisti di beni e servizi dall’estero.

I mercati si chiudono, diventano più piccoli. Le inefficienze aumentano, perché la concorrenza si fa meno intensa per le imprese produttrici.

Mercati più piccoli, perdita di benessere

Ed è proprio questo che alimenterà sin da subito il terremoto finanziario. Le borse mondiali ragionano su multipli prezzi/utili relativi ad un mondo che già quasi non c’è più. Scontano fatturati legati alle vendite sul mercato globale, mentre sta accadendo che i prezzi di merci e servizi rischiano di salire (e questo è un bene per le imprese che producono), ma a fronte di volumi più bassi. E il saldo netto con ogni probabilità sarà negativo. In economia si dice che c’è una “perdita secca di benessere sociale”: i maggiori profitti delle aziende sono più che compensati dalle perdite patite dai consumatori.

E il dollaro perché sale? In poco più di 4 mesi ha guadagnato la media dell’8,5% contro le altre principali valute. Due le ragioni di fondo: i capitali si spostano in cerca di protezione contro i rischi globali, per cui prediligono proprio il mercato americano che è notoriamente il più liquido e rassicurante. Inoltre, gli investitori prevedono che l’inflazione americana salirà a causa dei dazi e la Federal Reserve terrà i tassi di interesse alti o tornerà ad alzarli.

Super dollaro può neutralizzare dazi

Tuttavia, proprio il super dollaro può evitare agli americani un simile esito. Esso rende più economiche le importazioni dal resto del mondo, finendo per neutralizzare gli effetti dei dazi. Se così, nei prossimi mesi la Fed tornerà a tagliare i tassi e il biglietto verde s’indebolirà. Ma ciò non eviterà al pianeta un terremoto finanziario scaturito dal disallineamento crescente tra tassi e livelli d’inflazione. L’Europa non è l’America. Euro e sterlina si sono indeboliti di molto negli ultimi mesi e ciò sta già contribuendo a far risalire l’inflazione. Banca Centrale Europea e Banca d’Inghilterra, per dirne due, presto potrebbero essere costrette a sospendere il taglio dei tassi, specialmente se Bruxelles e Londra reagissero ai dazi americani con dazi a loro volta verso gli Stati Uniti.

Solo che le economie continentali non possono permettersi tassi alti, perché non sono robuste come quella americana. E c’è il serio rischio che le borse europee cadano proprio sul mix inflazione-stagnazione, cioè sulla stagflazione. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che l’economia dell’Unione Europea, a differenza di quella americana, è esportatrice netta. Significa che in una guerra dei dazi, a rimetterci saremmo principalmente noi, perché esportiamo all’estero più di quanto importiamo. O il mercato interno sarà capace di assorbire i prevedibili eccessi di produzione o sarà recessione.

Terremoto finanziario inevitabile?

E il problema sta nel fatto che per sostenere la domanda, ci sarebbe bisogno di una politica fiscale espansiva, caratterizzata da tagli alle imposte e/o aumenti di spesa pubblica. Ma sono pochi i governi comunitari a disporre di tali margini tra i conti pubblici. Basti guardare alla Francia di questi mesi nel caos sul nuovo bilancio. Servirebbe, quindi, una politica fiscale comune per reagire alla crisi, ma il Nord Europa resta contrario a mettere i quattrini in società con il Sud.

Ecco perché si guarda a Bruxelles, affinché smantelli l’eccessiva regolamentazione di questi anni e consenta alle imprese di investire e produrre con molti minori vincoli. Misure gratis per sostenere la crescita. Ma forse è già tardi per evitare un forte assaggio di recessione. Le scosse di questo terremoto finanziario si propagheranno in men che non si dica in Europa e Asia.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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