Xi Jinping è stato rieletto presidente della Repubblica Popolare Cinese per un terzo mandato storico. Diventa l’uomo più potente dai tempi di Mao Zedong, ma con la differenza che oggi il Dragone è la seconda potenza economica mondiale. Ad ottobre, il 69-enne capo dello stato aveva ottenuto già un terzo mandato come segretario del Partito Comunista Cinese. La sua era iniziava nel 2013 e avrebbe mutato (in peggio) i rapporti tra Cina e Occidente. Il suo nazionalismo acceso ha allontanato Pechino dagli Stati Uniti, dove si guarda con crescente diffidenza e timore a Xi.
Rilevanza strategica di Taiwan
Taiwan si trova al largo delle coste sud-orientali della Cina con una popolazione di 24 milioni di abitanti. Quando nel 1949 nacque il regime comunista di Mao, i nazionalisti non si sottomisero e ripararono sull’isola per formare un governo indipendente. Da allora, lo è “de facto”, cioè senza riconoscimento ufficiale da quasi alcuna nazione al mondo. Xi ha replicato duramente alla visita di Nancy Pelosi, l’ex speaker alla Camera degli Stati Uniti, a Taipei. Ha fatto presente che la “riunificazione” è solo una questione “tra cinesi” e al contempo ha accelerato le operazioni militari attorno all’isola per metterle pressione e paura.
Al di là dell’orgoglio nazionale, ferito con la separazione di oltre settanta anni fa, sono i semiconduttori a fare gola ai cinesi. E dal canto loro, gli americani hanno paura che, riuscendo a mettervi le mani sopra con un’eventuale occupazione, la Cina possa batterli su quello che è considerato il nuovo salto tecnologico trainante l’economia mondiale: l’Intelligenza Artificiale.
Taiwan produce più di un quinto dei semiconduttori nel mondo, ma Taiwan Semiconductor Manifacturing Company (TSMC) è responsabile della produzione del 90% dei chip di fascia alta.
Occidente cerca recupero su semiconduttori
I semiconduttori sono la ragione principale per cui Taiwan si sente al contempo minacciata e protetta. Da un lato, la Cina di Xi farà di tutto per mettere le mani su una materia prima divenuta preziosa per lo sviluppo. E non si tratta tanto di chip in sé, quanto del know-how che vi sta dietro. Realtà come TSMC sono uniche al mondo per grado di conoscenze ed esperienza dei propri ingegneri. Possono farti vincere una guerra, perché al giorno d’oggi non si combatte né con archi e frecce e neppure con cannoni e carri armati, come dimostra il flop della campagna russa in Ucraina. Sono le armi di precisioni, come i missili terra-aria, a imporre la supremazia di un esercito sul campo. E per costruirli servono i chip, anzi servono chip assemblati da ingegneri iper-esperti in materia di semiconduttori.
Questa genialità di Taiwan consente all’isola di godere protezione degli Stati Uniti. E’ ciò che i taiwanesi definiscono il loro “scudo di silicio”. Il vero punto di domanda è per quanto altro tempo ancora e fino a quale rischio. Washington non ha certo in mente di imbattersi in una guerra frontale con la Cina, ma allo stesso tempo vuole mantenere il distacco tecnologico con la sua rivale diretta.
Taiwan guarda con preoccupazione a questo trend, perché se l’Occidente riuscisse un giorno a rendersi grosso modo indipendente nella produzione di chip, essa perderebbe la sua rilevanza geostrategica e, contestualmente, la sua indipendenza dal regime comunista cinese. L’Ucraina è stato un campanello d’allarme per il mondo libero. Se la Russia di Vladimir Putin avesse la meglio, la Cina di Xi si sentirebbe autorizzata a replicare il successo in Asia con il piccolo vicino. Il terzo mandato gli riconosce nei fatti poteri illimitati. E il vero rischio per il mondo è che li eserciti.