Si riuniranno a Bruxelles il 9 settembre i ministri dell’Energia dei 27 stati dell’Unione Europea, chiamati a trovare una soluzione per risolvere la gravissima crisi energetica che sta travolgendo l’economia continentale. All’ordine del giorno vi è la discussione sul tetto al prezzo del gas, che è richiesto ormai da settimane da paesi come l’Italia. Sul punto c’è da registrare lo scetticismo della Francia, la resistenza della Germania e l’aperta contrarierà dell’Olanda. Non è affatto detto che si troverà un accordo su alcun punto, mentre è probabile che la discussione vera e propria sia rinviata a dopo il 14 settembre, giorno del discorso sullo Stato dell’Unione di Ursula von der Leyen.
Come funziona il mercato spot del gas
Il tetto al prezzo del gas, noto anche con l’espressione inglese “price cap”, effettivamente impone una riflessione seria sulle possibile conseguenze negative. Prima di arrivarci, vediamo cosa sta succedendo in questi mesi. L’anno scorso, la Commissione europea ebbe l’idea “geniale” di spingere le compagnie continentali a ridurre la sottoscrizione di contratti di fornitura di gas a lungo termine, favorendo il mercato spot, vale a dire gli scambi quotidiani. Per quale motivo? Allentare la dipendenza energetica da chicchessia. Questo cambio di indirizzo ci ha, però, esposti alle variazioni dei prezzi quotidiani.
Facciamo un esempio per capire meglio. Mettiamo che ENI stringa un accordo con Gazprom per acquistare tot miliardi di metri cubi di gas all’anno per dieci anni e a un prezzo fissato per contratto. Quali che siano le mutate condizioni di mercato, il prezzo di acquisto non cambierà. Se, invece, la stessa ENI si affida agli acquisti quotidiani, si esporrà al rischio di anche forti fluttuazioni di prezzo. E sul mercato olandese si scambiano i Ttf, i contratti del gas.
Perché questo boom? Poiché la Russia usa il gas come un’arma per piegare l’Europa sul piano del sostegno all’Ucraina, sta chiudendo i rubinetti. Le forniture sono crollate e la domanda chiaramente non è scesa. Per la legge del mercato, il prezzo non può che impennarsi. Ed ecco che il governo Draghi si è fatto da tempo portavoce di quanti in Europa chiedono di fissare un tetto al prezzo del gas. Si discute di 90 euro per mega-wattora, che comunque non ci farebbe tornare alle bollette di un anno fa.
Rischi del tetto al prezzo del gas
Come funzionerebbe il meccanismo? Le aziende di energia non potrebbero acquistare sul mercato olandese Ttf a un prezzo superiore al limite fissato. In questo modo, sarebbe imposto un costo massimo alla fornitura di energia. Ma lo schema non convince. La Commissione teme, ad esempio, che così facendo i consumi di gas aumentino, quando, invece, avremmo bisogno di limitarli per allentare la dipendenza da Mosca in una fase di transizione verso fornitori ed energie alternativi. D’altra parte, il timore della Germania consiste nella totale chiusura dei rubinetti del gas sia da parte della Russia, sia di altri fornitori.
Il tetto al prezzo del gas allontanerebbe fornitori alternativi come Qatar e Algeria, specie se questi trovassero mercati di sbocco con cui rimpiazzare l’Europa a prezzi più alti. Resteremmo al freddo e saremmo costretti in men che non si dica a rimuovere il limite per sperare che le forniture tornino a salire. Né possiamo confidare sugli stoccaggi. In queste settimane, sentiamo spesso dichiarare esponenti del governo e dell’industria che essi siano pieni oltre l’80% in Italia, vicini all’obiettivo europeo del 90% entro l’1 novembre.
Ma sapete quanto gas consumiamo in un anno? Sui 76 miliardi di metri cubi. In altre parole, anche con gli stoccaggi pieni al 100%, copriremmo meno di un quarto dei consumi nazionali annui. Se ci limitassimo a rapportare tali scorte ai soli consumi invernali, stimati in 40 miliardi di metri cubi, la percentuale salirebbe intorno al 45%. Bene, ma insufficiente a garantirci un inverno indipendente dai capricci di Mosca. Insomma, il tetto al prezzo del gas comporta rischi che non potremmo schivare neppure con stoccaggi stracolmi.