Tfr ai fondi pensione: nessuna libertà di scelta col silenzio assenso

Il silenzio assenso per la destinazione del Tfr ai fondi pensione va nella direzione sbagliata. Fine della libertà di scelta del proprio futuro.
3 anni fa
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tfr

La pensione integrativa fatica a decollare in Italia e il Tfr resta in azienda. Vuoi perché lo Stato ha sempre garantito interessanti ritorni dal risparmio previdenziale, vuoi per diffidenza consolidata nei confronti dei gestori.

Nonostante i dati sulla raccolta migliorino di anno in anno, i numeri di crescita non sorprendono. In altre parole, il lavoratore italiano preferisce ancora tenersi stretto il Tfr anche nell’incertezza di una pensione futura.

Tfr ai fondi col tacito consenso

Ed è così che si sta cercando di forzare la mano per scippare ai lavoratori quel tesoretto che, una volta terminata l’attività lavorativa, può essere utile per sistemare i conti di famiglia, per aiutare i figli negli studi o per comprare casa.

Sembra infatti che il governo voglia autorizzare  la destinazione del Tfr ai fondi, non già più su base esclusivamente volontaria, ma con il silenzio assenso. In pratica, se il lavoratore che viene assunto non comunica nulla al proprio datore, il Tfr finisce automaticamente nella previdenza complementare. Quale e come, non si sa.

Così il premier Draghi avrebbe aperto alla possibilità di prevedere un nuovo periodo di silenzio-assenso di 6 mesi per destinare il Tfr ai fondi pensione. Per ritrovarsi automaticamente iscritti a un comparto previdenziale che è diventato una trappola in termini di rendimento, considerando i costi di gestione e i tassi di interesse bassi.

La libertà del proprio futuro

Col silenzio assenso si toglie quindi al lavoratore la libertà di decidere del proprio futuro. Non vi è alcun dubbio che se passasse una tale riforma, aziende pubbliche e private non promuoveranno alcuna azione dissuasiva per destinare il TFR ai fondi pensione. Senza che poi si possa tornare più indietro.

Uno scippo architettato ad arte. A guadagnarci saranno, da un lato i gestori dei fondi pensione e dell’altro lo Stato. I primi con maggiori masse da gestire e commissioni.

Il secondo col l’aumento del prelievo sulle rendite finanziarie di cui si sta discutendo in Parlamento. E in mezzo ci sono i contribuenti che pagano.

Ma una soluzione, in questo senso, potrebbe essere quella di un periodo provvisorio, sperimentale. Anche alla luce della maggior convenienza a sottoscrivere fondi pensione, andrebbe lasciata al lavoratore la possibilità di sospendere il versamento del Tfr dopo 12 mesi.

Anche perché il comparto di destinazione del fondo pensione, al momento dell’assunzione al lavoro, è scelto dal gestore. Quindi, se al lavoratore non piace, deve essere data la possibilità di tornare indietro.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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