Nuovo incontro tra sindacati e governo sulla riforma delle pensioni il prossimo 7 febbraio. Uno dei tre piani su cui le parti stanno trattando è il rilancio della previdenza complementare. Sono ancora pochi i lavoratori iscritti a un qualche fondo pensione. Secondo Covip, alla fine dello scorso anno erano 8,8 milioni per complessivi 9,745 milioni di posizioni accese. I contributi versati sono stati pari a 13,3 miliardi di euro, +890 milioni rispetto al 2020. Considerato che gli occupati in Italia siano intorno ai 23 milioni, praticamente circa il 38% di loro ha una qualche forma di adesione a uno schema previdenziale privato.
Per questo, all’incontro i sindacati sembrano orientati a chiedere al governo altri sei mesi di silenzio-assenso per i dipendenti statali sul Trattamento di Fine Rapporto (TFR). Cerchiamo di capire di cosa si tratti. Dal 2007, ogni lavoratore assunto per la prima volta nel settore privato ha dinnanzi a sé una scelta: lasciare il TFR in azienda o chiedere al proprio datore di lavoro di versarlo a un fondo pensione. Nel caso in cui non comunicasse alcunché entro i sei mesi, il TFR sarà versato al fondo pensione negoziale indicato nel suo CCNL. Se assente, sarà versato al fondo pensione a cui hanno aderito più dipendenti in azienda. Se assente anch’esso, il versamento va a favore del Fondo Cometa.
Dall’1 gennaio 2022, questa norma è stata estesa ai dipendenti del settore pubblico. Non a tutti, però. Ad esempio, sono esclusi i lavoratori assunti fino al 2018 e quelli della scuola. Per gli altri, vale lo stesso principio: o comunicano entro sei mesi se lasciare il TFR presso l’ente di cui sono dipendenti o indicano un fondo pensione specifico. In assenza di comunicazione, il versamento sarà a favore del Fondo Perseo-Sirio.
Rivalutazione TFR e inflazione
Il TFR è una retribuzione differita. Essa equivale grosso modo a quasi una mensilità, dato che si calcola prendendo come riferimento lo stipendio annuale lordo del lavoratore e suddividendolo per una cifra non inferiore a 13,5. Perché i sindacati vorrebbero estendere il silenzio-assenso per altri sei mesi? Al fine di sensibilizzare i lavoratori del settore pubblico circa il tema della previdenza complementare, avvertito ad oggi maggiormente nel settore privato, dove il lavoro è spesso discontinuo e la paura per una pensione incongrua cresce di anno in anno.
Il TFR si rivaluta annualmente per una percentuale pari all’inflazione annuale del mese di dicembre, moltiplicata per il fattore 0,75. A questo risultato si somma l’1,5% fisso. Lo scorso anno, il TFR si è così rivalutato di circa il 4,36%. Andando ad analizzare l’andamento dei fondi pensione nelle varie forme (negoziali, aperti e PIP), si scopre che i versamenti tendenzialmente beneficiano di guadagni ben maggiori. E questo è dovuto all’elevata capacità dei mercati finanziari di far fruttare il denaro in misura consistente nel medio-lungo periodo. Chiaramente, esiste anche il rischio di subire perdite nelle fasi avverse del mercato. Tuttavia, alla lunga la borsa vince sempre. Lo dimostrano i dati empirici.
Negli ultimi 15 anni, cioè da quando la regola del silenzio-assenso è stata introdotta in Italia, la rivalutazione cumulata del TFR è stata del 48,8%. Nello stesso arco di tempo, l’inflazione è stata del 16,8%. Pertanto, la rivalutazione reale si è attestata al 32%. Non è male, anche se dovete pensare che tra il 2011 e il 2020, i fondi pensione hanno registrato rendimenti medi annui ponderati del 3,6-3,7%. Non tutti, però, concordano con questo meccanismo del silenzio-assenso. L’autore de “Il risparmio tradito”, Beppe Scienza, lo critica duramente, considerandolo una “truffa” ai danni dei lavoratori. L’opposizione nasce dalla convinzione che i mercati agirebbero in maniera poco trasparente per fregare i risparmiatori.