Pensioni, pensioni e ancora pensioni. Un’ossessione che insegue tutti i governi italiani perlomeno dell’ultimo trentennio. Un capitolo delicatissimo, un cantiere sempre aperto. Risorse che non bastano mai per accontentare tutti gli appetiti delle categorie, prontamente rappresentati dai partiti. Con la ripresa dei lavori parlamentari a settembre si tornerà a parlare di previdenza. E questa volta sembra che oggetto delle misure del governo Meloni sarà anche il Tfr. Il Trattamento di fine rapporto, noto anche come “liquidazione”, è quella componente reddituale aggiuntiva che mese dopo mese il datore di lavoro eroga al dipendente, ma accantonandola per quando andrà in pensione o il rapporto di lavoro sarà rescisso.
Novità su Tfr già sperimentata nel 2006
Nel caso di un lavoratore che sia stato alle dipendenze della stessa azienda per un periodo prolungato o da sempre, il Tfr al momento in cui andrà in pensione sarà un bel gruzzolo a cui potrà fare affidamento per un qualche acquisto (casa per i figli, ecc.) o investimento o ancora come integrazione per la pensione. Esso è accantonato nella misura di circa uno stipendio lordo all’anno, con rivalutazione in base al tasso d’inflazione. Per le aziende sopra i 50 dipendenti, però, il Tfr è automaticamente trasferito in capo all’Inps.
Il ministro del Lavoro, Marina Elvira Calderone, vorrebbe riproporre un semestre di cosiddetto silenzio-assenso. Il lavoratore avrebbe sei mesi di tempo per opporsi al trasferimento del proprio Tfr in un fondo pensione privato. Questa regola fu applicata nel primo semestre del 2006, quando c’era al governo l’allora premier Silvio Berlusconi. Non ebbe grande successo, tant’è che ancora oggi, a distanza di diciotto anni, appena un lavoratore su tre (9,6 milioni) risulta avere aderito a una qualche forma di previdenza complementare.
Come funzionerebbe
Stando al sottosegretario Claudio Durigon, eventualmente verrebbe trasferita in capo a un fondo pensione una quota del 25% del Tfr.
L’intento della proposta è positivo. Storicamente, la rivalutazione annuale del Tfr è risultata inferiore al rendimento offerto dai fondi pensione. Non è stato così negli ultimissimi anni, in quanto l’alta inflazione ha sostenuto la rivalutazione e i fondi hanno patito il maxi-aumento globale inatteso dei tassi di interesse. Ma guardando al lungo periodo, il mercato batte il Tfr lasciato in azienda. La regola del silenzio-assenso non farà felici i piccoli imprenditori, che di rado accantonano di mese in mese realmente la quota prevista. Si limitano a un’operazione contabile, di fatto tenendo la liquidità in azienda e favorendo così l’auto-finanziamento per i piccoli investimenti nel breve termine.
Rischio di percezione negativa tra i lavoratori
Questa regola del silenzio-assenso non convince, però, per un altro motivo. Sembra studiata per trarre in inganno il lavoratore. In altre parole, poiché esso non si convince ad aderire ad un fondo pensione, dobbiamo trovare il modo di costringerlo senza che se ne accorga. E’ un metodo sbagliato, perché allarga le distanze già ampie tra lavoratori e mercati. Bisogna far capire ai primi che la previdenza complementare sarebbe la soluzione ideale e più proficua per i loro interessi. Qualcuno eccepirà che sia stato fatto infruttuosamente in questi anni. E’ vero parzialmente. I lavoratori non hanno avuto riferimenti stabili per capire l’evoluzione della nostra previdenza. Da un lato si trasmette terrorismo mediatico sul futuro delle pensioni, dall’altro si prospettano sempre nuove soluzioni in favore di chi vuole lasciare il lavoro prima e/o possiede pochi contributi versati, se non nessuno.
Silenzio-assenso sul Tfr non funziona
Il Tfr in Italia continua a rimanere una delle poche certezze in un sistema che cambia anche drasticamente. Dare anche solo l’impressione di volervi mettere le mani per favorire chissà qualche compagnia assicurativa o fondo d’investimento non aiuta a consolidare la fiducia necessaria per incentivare il ricorso alla previdenza complementare. I lavoratori temono di non riuscire più ad entrare in possesso prontamente degli accantonamenti quando dovessero perdere il lavoro o averne bisogno anche prima, cosa possibile a determinate condizioni. Non sarà il silenzio-assenso a rispondere ai dubbi.