Tobin Tax, come evitare l’odiosa tassa di borsa

La Tobin Tax colpisce gli investimenti in Italia. Sugli strumenti finanziari esteri non si paga nulla. Storia di una tassa inutile e dannosa.
4 anni fa
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La Tobin Tax sta al trader come il bollo auto sta all’automobilista. E’ una delle tasse più dannose e inutili introdotte dal governo Monti nel 2013. Nessuno ne parla, ma pesa sulle transazioni finanziarie e chi investe in borsa ne sa qualcosa.

La Tobin Tax, tecnicamente detta FTT (Financial Transaction Tax), colpisce tutte le transazioni finanziarie ad eccezione di alcune tipologie di titoli e azioni a bassa capitalizzazione. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze aggiorna ogni anno l’elenco delle società quotate su Borsa Italiana soggette a Tobin Tax.

Tobin Tax inutile e dannosa

Dalla Tobin Tax ci si attendeva un gettito fiscale da 1,5-2 miliardi di euro all’anno. Nel 2020 non si è arrivati manco a 600 milioni e gli anni prima non sono stati migliori. Cosa è successo?

La tassa, come noto, colpisce indistintamente la maggior parte degli investitori italiani attraverso una piccola trattenuta sull’acquisto di azioni, derivati e altri strumenti finanziari quotati alla borsa valori di Milano.

Cosa che non avviene se si trattano strumenti finanziari su altre piazze diverse da quella italiana. Ed ecco il punto: se si investe su piazze finanziarie diverse dall’Italia (non tutte), non si paga. Se ad esempio si volesse acquistare azioni energetiche, meglio puntare sulla borsa di New York, di Parigi, di Amsterdam o di Francoforte. Se si investe in titoli azionari quotati a Milano, invece, arriva la stangata.

Fuga di capitali

Una cosa assurda. Il governo Monti, anziché difendere la finanza nostrana, ha così incentivato la fuga di capitali verso l’estero. Stiamo parlando naturalmente di investitori retail (non professionali), con regolare residenza fiscale in Italia. Ed ecco spiegato il motivo dell’insuccesso della Tobin Tax a distanza di 8 anni dal suo ingresso sul palcoscenico finanziario.

L’amara verità è poi che la speculazione non è stata tassata con l’introduzione della Tobin Tax.

I traders, che la conoscono bene, aprono e chiudono le operazioni in giornata (day traders) senza pagare nulla. Mentre chi di finanza (e speculazione) ci capisce poco, ma vuole comunque investire nel medio o lungo periodo, viene massacrato. Salvo, appunto, preferire piazze finanziarie straniere.

Perché la tassa sulle transazioni finanziarie

L’Italia non è l’unica nazione ad aver introdotto la Tobin Tax sui propri mercati. Lo ha fatto anche la Francia e più recentemente la Spagna. Ma altri Paesi appartenenti alla Ue si sono ben guardati dal introdurre la tassa conservando quindi il proprio appeal per le piazze borsistiche nazionali.

Da noi la Tobin Tax fu introdotta più a scopo mediatico e politico per dare un contentino alle sinistre che avevano mal digerito la riforma impopolare delle pensioni (Fornero). Un errore che ha reso, come dimostrato dai fatti, ancor più impopolare l’operato di Monti che forse, dalla sua visione europeista dell’economia, pensava bene di anticipare i tempi di una riforma fiscale globale sulle transazioni finanziarie.

Iniziativa che non è stata seguita da Bruxelles e che ha visto col tempo ogni Stato muoversi per conto proprio. Il risultato è stata una profonda frammentazione fiscale e un tassa che limita ancor oggi gli investimenti dei piccoli risparmiatori.

Come funziona la Tobin Tax

L’imposta sulle transazioni finanziarie viene applicata dall’intermediario finanziario, che agisce da sostituto di imposta, ed è pari a 0,10% del saldo netto delle transazioni giornaliere.

Cosa significa? In pratica, la tassa viene applicata solo se il titolo acquistato e soggetto a Tobin Tak viene acquistato e tenuto in portafoglio oltre la data di valuta dell’operazione. Cioè se non viene venduto nello stesso giorno dell’acquisto e viene registrato sul deposito titoli.

Volendo fare un esempio pratico, se si acquistano in borsa azioni ENI per un controvalore di 1.000 euro e si lasciando sul deposito titoli, sarà applicata l’imposta di 1 euro (0,10% del controvalore).

Al contrario, questo non succede se il titolo viene venduto nell’arco della giornata e non è quindi mantenuto in portafoglio.

Lo stesso vale per i derivati con sottostante indici o azioni italiane (Futures, Opzioni, CFD, warrants, covered warrants e certificates). In questo caso l’aliquota varia a seconda del tipo di strumento e del valore del contratto e colpisce sia il compratore che il venditore.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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