Emmanuel Macron non è mai stato così impopolare in Francia come in queste settimane. Torna il periodo buio dei “gilet gialli”, quando l’annunciata (e poi ritirata) tassa sulla benzina fece esplodere proteste violente in tutto il paese. Stavolta, è la riforma delle pensioni ad attirare le ire della popolazione. Il governo di Elisabeth Borne è sopravvissuto per soli 9 voti al voto di sfiducia presentato dalle opposizioni di sinistra e appoggiato anche dalla destra di Marine Le Pen. Neppure i Repubblicani sono stati compatti nel respingere l’assalto all’esecutivo centrista, rimasto indifeso all’Assemblea Nazionale dagli attacchi dell’emiciclo.
Rabbia dei francesi contro riforma pensioni
Cassonetti dell’immondizia in fiamme, lanci di molotov contro gli agenti, slogan urlati e forti contro il presidente e il suo governo. La rabbia dei francesi è fortissima. Anche i sondaggi confermano che la stragrande maggioranza della popolazione è contraria alla riforma delle pensioni e il 70% non si ritiene soddisfatta dell’operato dell’Eliseo. Ma Macron non rischia di suo, poiché è già al secondo mandato e alle elezioni presidenziali del 2027 non potrebbe ricandidarsi in ogni caso. Proprio questo dato spaventa i suoi, che temono di finire sacrificati dal loro leader sull’altare delle riforme, indifferente oramai al consenso popolare.
La riforma delle pensioni è stata approvata senza il voto del Parlamento. Macron si è avvalso dell’art.49.3 della Costituzione, che gli ha consentito di aggirarlo. La sinistra ha parlato di “colpo di stato”, la destra lepenista di “segnale di debolezza”. Ma cosa prevede di così cattivo la nuova legge? L’età pensionabile è innalzata da 62 a 64 anni di età entro il 2031. E per ottenere l’assegno pieno, gli anni di contributi necessari passano da 42 a 43 entro il 2027.
Nulla di eclatante. Non siamo ad una “super Fornero” transalpina.
Giovani ignorano benefici
Molti dei contestatori nelle piazze sono giovani, paradossalmente i beneficiari della riforma delle pensioni. I dati sono eloquenti: ci sono 1,7 lavoratori per ogni pensionato oggi in Francia contro un rapporto di 3 a 1 nel 1970. Grazie a questo intervento, le casse previdenziali resterebbero in leggero attivo anche nei prossimi decenni. E così i giovani di oggi eviterebbero di fare la fine dei loro cugini italiani, i quali non solo andranno in pensione a 70 anni, se tutto andrà bene, ma con assegni defalcati rispetto a quelli ricevuti dai genitori e, soprattutto, dai loro nonni.
La vicinanza geografica con l’Italia avrebbe dovuto mettere un po’ di giudizio in più ai francesi. Roma è un pessimo esempio da imitare. Il corporativismo e la sindacalizzazione esasperata hanno distrutto nei decenni passati il tessuto lavorativo da un lato e le casse previdenziali dall’altro. E ancora oggi, se non fosse per l’eredità devastante del pubblico impiego, l’INPS chiuderebbe i conti in attivo per oltre una decina di miliardi di euro all’anno. Il settore privato è costretto a compiere sacrifici anche molto duri per ripianare le perdite causate da una gestione dissennata della previdenza del passato, specie nel settore pubblico.
Pensare che un ventenne o un trentenne di oggi sia nel panico al pensiero che dovrà lavorare fino a 64 anni, risulta difficile da credere. Oltretutto, coloro che nei prossimi anni resteranno al lavoro fino a ventiquattro mesi in più, chi beneficeranno se non i più giovani grazie a una maggiore contribuzione versata alle casse di previdenza? E allora, o la riforma delle pensioni è stata spiegata male da Macron o c’è un eccesso di ideologia nelle proteste. O forse entrambe le cause.