Si fa presto e facile a dire transizione energetica. Sull’importanza di tendere alla decarbonizzazione il consenso sembra unanime, ma sui tempi e le modalità non c’è affatto un accordo tra stati e all’interno di ciascuno di essi. E come vedremo dalle cifre che emergono dalle analisi ufficiali nell’Unione Europea, i timori per chi debba pagare il conto sono sempre più forti.
Numeri UE sui costi del Green Deal
La Corte dei Conti europea ha stimato che per tendere agli obiettivi del Green Deal al 2030 serviranno 1.000 miliardi di euro all’anno.
Un po’ più ottimista – si fa per dire – la Commissione europea. Essa stima in 620 miliardi all’anno il “gap” tra fondi stanziati e quelli necessari per implementare la transizione energetica. Chi paga? Le cifre in gioco incidono per il 4-6% del PIL dell’area. Questo significa che, in media, ciascuno stato comunitario dovrebbe trovare risorse per un importo insostenibile per le sue finanze statali. Paesi già molto indebitati come l’Italia non dispongono di margini sui conti pubblici, mentre altri, come la Germania, li posseggono teoricamente. Ma va da sé che non possono immaginare di tenere i deficit fiscali a livelli altissimi per un periodo tra l’altro prolungato.
Scarsi margini di bilancio
Questi numeri cozzano con il ripristino dall’anno prossimo del Patto di stabilità. Pur in una versione aggiornata, resteranno limiti stringenti ai disavanzi degli stati. E il rapporto tra debito pubblico e PIL dovrà scendere anno dopo anno. Questo significa che, o i governi ignoreranno la transizione energetica o il rigore fiscale.
La prima ipotesi risulta poco praticabile, se già consideriamo che i livelli impositivi siano altissimi un po’ ovunque tra le principali economie europee. Anche la seconda soluzione sembra poco pratica. Gli alti costi della transizione energetica finirebbero per gravare sui prezzi al consumo, innescando una spirale inflazionistica che metterebbe in ginocchio le economie. Tra l’altro, costringerebbero la Banca Centrale Europea a tenere alti i tassi di interesse. Un colpo durissimo per la domanda interna.
Né possiamo confidare sull’Unione Europea. Un Pnrr per la transizione energetica non ci sarà. In primis, manca la volontà politica di paesi come la Germania. E tenete a mente che Bruxelles non possiede un bilancio autonomo. Questi è finanziato dai contributi degli stati membri e per una percentuale minima delle dimensioni economiche. Non avendo poteri impositivi diretti, essa potrebbe varare un programma di aiuti agli stati solo ricorrendo all’indebitamento. Ma questa soluzione andrebbe bene se fossero d’accordo i “garanti”, ossia proprio gli stati membri fiscalmente più solidi. E abbiamo appena detto che non è questo il caso.
Transizione energetica, divisioni crescenti tra stati
Le resistenze tedesche in tal senso sono comprensibili. Perché mai la Germania dovrebbe caricarsi dell’onere di finanziare indirettamente la transizione energetica in economie concorrenti? Esporrebbe i propri contribuenti a rischi esterni non controllabili. Per non parlare del fatto che, in fin dei conti, rappresenta un vantaggio che altri paesi “rivali” rimangano indietro sui processi di trasformazione delle loro economie. Tanto per farvi un esempio, di recente Berlino ha stanziato 10 miliardi per finanziare l’apertura di due stabilimenti Intel nel Land di Sachsen-Anhalt.
In conclusione, la transizione energetica comporta il sostenimento di altissimi costi per l’economia. Gli stati che possono permetterseli, si troveranno avvantaggiati nella corsa per il futuro. Gli altri rimarranno indietro e verosimilmente rischieranno una crescente desertificazione industriale e una emarginazione geopolitica rispetto ai grandi processi decisionali. Le cifre dell’Unione Europea non fanno che rafforzare tale timore.