I fondi pensione non rappresentano più la nuova frontiera della previdenza integrativa. Lo sanno bene gli inglesi che lo scorso mese di ottobre sono dovuti correre ai ripari per coprire le magagne causate dai gestori di fondi.
Al punto che il nuovo governo, guidato dal cancelliere Jeremy Hunt, tfr ha dovuto annunciare ai contribuenti una manovra fiscale lacrime e sangue. Non solo per fronteggiare la recessione in arrivo, ma anche per tappare i buchi causati dalla finanza spregiudicata dei fondi pensione inglesi.
Il tonfo dei fondi pensione costa caro agli inglesi
Un combinato (inflazione e crollo dei prezzi delle obbligazioni) che costringe ora i fondi pensione a scaricare le perdite sui rendimenti futuri dei propri assicurati. Cioè i lavoratori. Di fatto, la Banca d’Inghilterra è dovuta intervenire per sostenere i prezzi dei Gilt, di cui i fondi sono pieni zeppi, comprando titoli sul mercato. Ma con quali soldi?
Coi soldi dei contribuenti naturalmente. In altre parole prelevandoli dalle tasche di tutti, anche di chi della previdenza complementare se ne infischia. Quindi più tasse dal prossimo anno per ogni contribuente. E che tasse! Il carico fiscale – come riportano i giornali inglesi e anche Il Sole 24 Ore – diventerà il più pesante dal dopoguerra, salendo dal 36,4% di quest’anno per arrivare al 37,5% del Pil nel 2024. per colpa dei fondi pensione.
Le imposte societarie aumenteranno dal 19% al 25% nel 2023. Così come le tasse sui profitti straordinari delle imprese del settore energia che aumenteranno dal 25% al 35%. Salirà anche l’aliquota massima sui redditi dei privati, contrariamente a quanto preannunciato a settembre. Mentre le soglie imponibili per le imposte sui redditi e le tasse di successione e i contributi per la previdenza sociale anziché diminuire resteranno congelate fino al 2028.
La trappola dei fondi pensione con la previdenza integrativa
Certo sono cose che avvengono oltre Manica. Ma quello che è successo in Gran Bretagna potrebbe accadere anche in Italia.
Ma col passare del tempo e con la percezione che le pensioni saranno insufficienti per vivere in futuro, l’industria dei fondi pensione si sta gonfiando anche da noi. Lo dimostrano i numeri dei primi nove mesi del 2022 che evidenziano una crescita continua degli iscritti alle varie forme di previdenza integrativa, nonostante i rendimenti siano passati pesantemente in territorio negativo quest’anno.
Ma tant’è, basta raccontare che il futuro è incerto e che l’unica strada per garantirsi una pensione adeguata sia quella di integrarla attraverso i fondi pensione che tanti corrono a cedere il Tfr. Non sapendo bene come stanno le cose e quanto rendono i soldi da una parte e dall’altra.
Il Tfr in azienda non si svaluta
Basterebbe questo per far desistere migliaia di lavoratori a tenersi stretto il Tfr. Nei primi 9 mesi dell’anno, con l’esplosione dell’inflazione, i soldi lasciati in azienda hanno reso più del 5%, mentre i fondi hanno perso anche più del 12%. Difficile recuperare in fretta una perdita simile che, nel complesso, rappresenta il 5,1% del patrimonio nostrano dei fondi pensione (10,9 miliardi di euro).
Soldi che sono andati in fumo e che non potranno produrre rendita al momento del riscatto. Questo i lavoratori devono saperlo prima di affidare i propri risparmi ai gestori. Anche se i fondi non falliscono, possono subire perdite molto pesanti se i mercati vanno male.
Un rischio che non si può correre solo se si è disposti a perdere il capitale. Come investitori, quindi, ma non come lavoratori che puntano ad avere una integrazione della pensione in futuro.
Governo in soccorso ai fondi?
L’allarme sui fondi pensione è comunque scattato anche in Italia. Per ora in sordina, ma 10,9 miliardi di euro di perdite rappresentano un terzo dell’ultima manovra finanziaria dello Stato. Giusto per rendere l’idea delle dimensioni del problema.
Banchieri, assicuratori e gestori stanno quindi pressando il legislatore per cambiare le leggi affinché il patrimonio perso sia presto rimpiazzato da maggiori flussi di denaro. Come? Pompando ancor di più sulla previdenza integrativa. Dapprima con silenzio assenso anche per i dipendenti pubblici (in assenza di disposizioni specifiche del lavoratore assunto il Tfr finisce automaticamente nei fondi di categoria). E poi con l’abbassamento delle tasse sulle rendite finali.
Oggi si paga il 15% sulla prestazione finale. Percentuale che scende dello 0,3% ogni anno dopo il quindicesimo di permanenza fino al 9% massimo. In paragone, le rendite finanziarie sui titoli di Stato ammontano al 12,5%. E non si rischia il capitale.