Siete alla ricerca di titoli di stato con cedole relativamente elevate, così da minimizzare i rischi di volatilità, grazie alla bassa duration? Di seguito, vi forniamo tre esempi, escludendo per ragioni di praticità il BTp con maxi-cedola 8,5%, semplicemente perché introvabile sul mercato secondario. Il più generoso, almeno in apparenza è quello che scade nel novembre 2023 e che offre cedola al 9% (ISIN: IT0000366655). Ebbene, sul secondario quota a 132,1, per cui l’interesse annuale, rapportato all’investimento scende a un pur ancora consistente 6,8% lordo.
Il secondo BTp che proponiamo alla vostra attenzione è quello che scade nel novembre 2026 e cedola 7,25% (ISIN: IT0001086567). Oggi, prezza 135,8, per cui la cedola annuale rapportata all’investimento scende effettivamente al 5,3%. Alla scadenza, i flussi garantiti di reddito ammonterebbero a poco meno del 40% del valore investito (39,8%), quasi il 35% (34,8%) al netto dell’imposta.
I rischi del BTp con cedola alta, ecco qual è la grande minaccia al rendimento
Infine, il BTp con scadenza novembre 2027 e cedola 6,5% (ISIN: IT0001174611), il cui prezzo di mercato oggi viaggia a 133,16. La cedola effettiva scenderebbe così al 4,9% e alla scadenza metterebbe in tasca all’investitore ben il 41,65% del valore investito, circa il 36,4% al netto dell’imposta. Dunque, quest’ultimo tra i tre bond si mostra il più appetibile in termini di rapporto tra monte-flussi cedolari e investimento alla scadenza. Per quanto vi abbiamo spiegato sul sistema di tassazione, il discorso non è finito. A parità di rendimento, infatti, dovremmo prediligere quel BTp con il prezzo più basso, almeno se siamo interessati a portare il bond alla scadenza, per cui non ne temiamo la volatilità, correlata positivamente alla duration e negativamente alla cedola.
Cosa succede ai BTp post-tassazione
Il BTp 2023, ad esempio, alla scadenza ci riconoscerebbe un credito d’imposta pari a 4 (12,50% su 32,1, il valore della minusvalenza accusata acquistando il bond sopra la pari). Il BTp 2026 riconoscerebbe un credito d’imposta pari a 4,48 e il BTp 2027 uno di 4,15. A conti fatti, se non fossimo capaci di utilizzare tali crediti entro 5 anni, compensandoli con imposte maturate su plusvalenze, dovremmo mettere in conto una perdita, in termini di minore rendimento effettivo, di circa lo 0,90% all’anno nel primo caso, dello 0,60% nel secondo e dello 0,49% nel terzo. tenuto conto che il rendimento netto del primo sia dell’1,12%, del secondo dell’1,55% e del terzo dell’1,67%, sarebbe come affermare che rischiamo di ottenere solamente un rendimento effettivo netto rispettivamente di 0,3%, 0,95% e quasi 1,20%.
Il BTp 2027, la cui cedola nominale e rapportata all’investimento sembrava la meno generosa dei tre, si mostra al contrario il più appetibile in termini di rendimento effettivo, al netto del rischio legato alle minusvalenze non compensabili. Questo, perché i tre bond prezzano sostanzialmente quasi uguale, ma il 2027 è quello che scade più in là, per cui spalma l’eventuale credito d’imposta perduto su un numero maggiore di anni.
BTp Futures, fare trading con i titoli di stato