In tempi di cedole e rendimenti ai minimi termini, se non negativi i secondi, quasi si fa fatica a credere che tra i titoli di stato italiani in scadenza nei prossimi anni ve ne siano alcuni con tassi molto alti. Se pensate che oggigiorno il più longevo tra i BTp – quello che matura nel marzo 2067 – offre un rendimento del 2,50%, davvero viene difficile pensare che esista un BTp con scadenza novembre 2023 (ISIN: IT0000366655), la cui cedola annuale è di ben il 9%. Com’è possibile, vi chiederete giustamente? Questo bond nacque come trentennale, essendo stato emesso nel 1993.
Questo bond quotava ieri 128,60, cioè bisognava pagare 1.286 euro per ogni 1.000 euro di capitale nominale investito. Dunque, il sovrapprezzo di oltre il 22% segnala una forte minusvalenza che si accuserebbe alla scadenza, solo per un pelo più che compensata dalla maxi-cedola, se è vero che il rendimento lordo annuale si attestava ieri allo 0,45%, in sostanziale linea con i BTp di scadenze analoghe. Chi lo volesse acquistare dovrebbe fare i conti, però, con un mercato poco liquido. Da inizio anno, gli scambi sul MoT sono stati pari a soli 329 milioni di euro, appena il 2,9% degli 11,23 miliardi emessi. Come dire che ogni mese passi di mano appena lo 0,50% del capitale, qualcosa come lo 0,025% a seduta.
Sempre a fine 2023, stavolta a dicembre, arriva a scadenza un altro BTp con cedola fuori dal tempo: parliamo del bond 8,50% (ISIN: IT0000366721). Anche in questo caso, emesso nel lontano 1993 e ieri quotava in area 136. A conti fatti, per acquistare un titolo da 1.000 bisogna spenderne 360 in più, cosa che fa crollare il rendimento al -1,25%.
Lo strano BTp con maxi-cedola 8,50% e dai rendimenti choc
Scarso appeal
Qui, il punto è che parliamo di un bond senza mercato. Da inizio anno, risultano scambiati titoli per appena 230.000 euro, lo 0,007% dei 3,1 miliardi potenzialmente circolanti. Come mai? Il BTp dicembre 2023 venne emesso dal Tesoro per essere acquistato allora dalla Banca d’Italia, che lo tiene ad oggi in portafoglio, salvo verosimilmente cederne qualche pezzo, rivenduto molto sporadicamente sul secondario. Insomma, questo titolo è come se non esistesse e, in ogni caso, comprarlo significherebbe rimetterci certamente nel caso lo si volesse detenere fino alla scadenza.
Infine, abbiamo il BTp dicembre 2026 e cedola 7,25% (ISIN: IT0001086567). Quotazione di ieri sopra 138, pari a un rendimento lordo dello 0,93%. Anche in questo caso, negoziazioni rarefatte: scambiati titoli per un controvalore di appena 283 milioni in 5 mesi e mezzo, pari al 2,7% del capitale nominale massimo negoziabile, meno dello 0,50% al mese. Certo, nessuno ci obbliga di tenere i suddetti titoli fino alla scadenza. Se avessimo la fortuna di rivenderli dopo avere incassato una o più cedole a prezzi in linea a quelli di acquisto, porteremmo a casa lauti guadagni. Ciò può accadere in uno scenario di tassi di mercato calanti e di rischio sovrano non crescente, magari grazie all’opera della BCE di questi mesi.
In generale, non riscontriamo alcun appeal specifico per questi bond, in quanto la maxi-cedola tende ad attirare il mercato nelle fasi di accelerazione dell’inflazione, quando gli obbligazionisti si mostrano disposti a pagare un qualche sovrapprezzo per mettere in portafoglio titoli dai flussi di reddito elevati prima della scadenza.