“C’è un vantaggio nel finanziare il debito, specialmente quando i tassi d’interesse sono molto bassi, emettendolo su lunghe scadenze e mi piacerebbe molto guardare a questo tema ed esaminare cosa ne pensi per il mercato sui bond di tale durata”. Sono le parole del prossimo segretario al Tesoro, Janet Yellen, con riferimento all’ipotesi di emettere un Treasury a 50 anni. Non si è trattato di un impegno, semmai di un auspicio. Eppure, queste parole stanno tornando ad animare un dibattito che si era aperto meno di un anno fa, quando l’attuale segretario al Tesoro uscente, Steve Mnuchin, sondò Wall Street per verificare se vi fossero le condizioni per emettere titoli di stato USA a 50 o persino a 100 anni.
Treasury a 50 anni in vista, ma l’America deve evitare l’errore dell’Austria
In tal senso aveva premuto parecchio l’ex presidente Donald Trump, secondo cui il governo americano dovrebbe approfittare dei tassi bassissimi di questa fase per indebitarsi sulle lunghissime scadenze. Tuttavia, Mnuchin dovette ammettere sin quasi subito che sui mercati non ci sarebbe stata sufficiente domanda per assorbire emissioni ultra-lunghe su questa scadenza, figuriamoci per un bond secolare. Gli investitori continuano a mostrarsi riluttanti a puntare su un asset così duraturo. E, infatti, gli USA hanno ad oggi Treasuries con scadenze fino a un massimo di 30 anni.
Perché questa assenza di interesse per un cinquantennale? Il tema non riguarda solamente Washington. La stessa Germania non va oltre i 30 anni, pur potendosi permettere teoricamente di emettere un Bund a 50 o 100 anni a tassi vicini allo zero in questi mesi. Eppure, non lo fa. Anzitutto, USA e Germania sono potenze economiche che non hanno bisogno di allungare la vita media dei rispettivi debiti, perché contrariamente a paesi come l’Italia, essi hanno la ragionevole certezza di potersi rifinanziare sempre e in qualsiasi condizione a costi molto bassi.
Scarso interesse del mercato
Essendo percepiti come “porti sicuri”, i capitali vi affluiscono nei momenti di incertezza o negativi per l’economia mondiale, quando solitamente i rendimenti altrove tendono a salire. Pertanto, non sembra esservi alcuna convenienza per questi emittenti a vincolarsi con bond ultra-lunghi. Se i tassi di mercato scendessero ulteriormente, infatti, sarebbero costretti a sostenere costi più alti di quelli che pagherebbero, specie sulle scadenze più brevi. Quanto al mercato, esso stesso non trova allettante l’ipotesi di un Treasury a 50 anni. La domanda per obbligazioni così durature non può essere elevatissima. Nessun investitore punta a impiegare i capitali per diversi decenni. L’orizzonte dei 30 anni già appare sufficientemente lungo agli stesso fondi pensione. E anche qualora l’obiettivo fosse di maturare plusvalenze con la rivendita anticipata, ci si esporrebbe a una volatilità elevata, data l’alta “duration” del titolo.
Peraltro, il mercato dei Treasuries vale sui 20.000 miliardi di dollari e tenere liquida una scadenza implica l’esigenza di emettere e assorbire titoli per finanche centinaia di miliardi di valore. Troppi per gli investitori globali. Una cosa è l’Austria che raccoglie qualche miliardo di euro sui 100 anni, un’altra l’America che per le sue dimensioni equivale a un elefante in una cristalleria. Infine, perché i mercati dovrebbero accogliere a braccia aperte un Treasury così lungo, quando verosimilmente il rendimento offerto sarebbe pure storicamente assai basso e tale da prospettare un rischio volatilità molto alto nel corso degli anni?
Bond a 100 anni, dal Messico all’Austria opportunità per opposte esigenze