Il cambio euro-dollaro è sceso ieri, in chiusura di seduta, a 1,1123, ai minimi da 2 anni. A indebolirlo sono stati i dati negativi arrivati in settimana dalla Germania, dove l’indice Ifo ad aprile risulta sceso a 99,2 punti dai 99,7 di marzo, sotto le attese degli analisti, che erano per un dato invariato. L’umore tra le imprese tedesche è basso, specie sul rinvio della data per la Brexit, che le tiene in tensione per le possibili ricadute di un mancato accordo tra Regno Unito e UE.
Propensione al rischio sui mercati in crescita: Treasury a fine corsa?
Rispetto ad allora, però, il cambio euro-dollaro si è indebolito del 2,3%. Ora, chi ci segue su Investire Oggi, saprà che lo spread Treasury-Bund viene monitorato per capire la direzione a breve del cross valutario e le aspettative su di esso nel lungo periodo. Moltiplicando lo spread cumulato a 10 anni per l’attuale cambio, otteniamo che il mercato si aspetterebbe un euro-dollaro di poco sotto 1,40 nel 2029. A gennaio, esso sfiorava 1,43. E ricordiamo che solo agli inizi del 2018, l’esito del calcolo portava a un cambio superiore a 1,50. Cosa implicherebbe questo scivolamento? Il forex nutrirebbe aspettative sempre più pessimistiche sull’euro da qui al medio termine, ritenendo che si riporterà ai livelli pre-crisi tra un numero di anni maggiore rispetto a quanto stimato solo pochi mesi fa.
Le aspettative più deboli sul cambio euro-dollaro
L’America ha sostanzialmente cessato la stretta sui tassi e questo dovrebbe indebolire il dollaro, mentre sta accadendo il contrario.
Perché i Bund della Germania avrebbero perso la funzione di segnale su tassi e cambio nell’Eurozona
In condizioni “normali”, è probabile che i titoli tedeschi renderebbero di più e i Treasuries di meno. Infatti, la BCE ha quasi azzerato i bond della Germania disponibili sul secondario, mentre la Federal Reserve ha iniziato a venderli dal settembre scorso, facendone impennare i rendimenti. Bund più allettanti attirerebbero capitali da fuori dell’Eurozona, sostenendo il cambio euro-dollaro, ma fino a un certo punto, anche perché i tassi nell’area continuano a restare azzerati. Nemmeno l’impennata delle quotazioni petrolifere sta rafforzando l’euro sulla previsione di un’inflazione più alta nell’area e, quindi, di un avvicinamento del primo rialzo dei tassi BCE. Evidentemente, nessuno crede che Francoforte sia in grado di varare la stretta monetaria quanto prima, dato l’affanno dell’economia nell’unione monetaria.