Era il 17 febbraio del 1992 quando Mario Chiesa, allora presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano, fu colto in flagranza di reato mentre accettava una tangente da parte di un imprenditore in cambio di un appalto per la sua ditta di pulizie. Espressione del Partito Socialista Italiano, l’uomo fu definito “un mariuolo” dal segretario Bettino Craxi ai giornalisti che gli chiedevano conto dei suoi legami con il manager. Era l’inizio di una stagione da incubo nota come tangentopoli e che picconò le istituzioni repubblicane attraverso l’inchiesta milanese di “Mani Pulite”.
Furono migliaia gli arresti in quegli anni, i quali coinvolsero particolarmente politici e dirigenti d’azienda pubblici e privati. Quasi metà degli indagati fu assolto, mentre le condanne furono perlopiù di pochi mesi o anni, spesso cadute in prescrizione. Tuttavia, Mani Pulite decretò la morte della cosiddetta Prima Repubblica. Si sciolsero come neve al sole quasi tutti i partiti dell’arco costituzionale, dalla potentissima Democrazia Cristiana al Partito Socialista, mentre il Partito Comunista aveva cambiato nome in PDS nel 1991 con la svolta della Bolognina, prendendo atto della caduta imminente dell’Unione Sovietica e del Muro di Berlino di un paio di anni prima.
Gli italiani plaudirono alle inchieste giudiziarie, desiderosi di mettersi alle spalle ruberie più o meno alla luce del sole, inefficienze pubbliche e un’economia che si avviava sempre più allo scatafascio. Il lancio delle monetine contro Craxi all’uscita dell’Hotel Raphael a Roma simboleggiò quella catarsi pubblica di un popolo ipocrita, che cercava con quel gesto di allontanare da sé l’onta di quasi mezzo secolo di corruzione clientelare sostenuta convintamente e massicciamente fino a poco prima. A posteriori, possiamo affermare che quel desiderio di cambiamento sia stato tradito del tutto. La classe politica che aveva governato l’Italia dal Secondo Dopoguerra fino agli inizi degli anni Novanta fu spazzata via, ma dalle sue ceneri ne nacque un’altra improvvisata, impreparata e carnescialesca.
Da Mani Pulite alla stagnazione secolare
Che la qualità dei nuovi “salvatori della Patria” sia stata scadente, lo dimostrano i dati. Dal 1992 al 2021, il PIL italiano in termini reali risulta essere aumentato solamente del 16,5%. Anche considerando i livelli pre-Covid, saremmo a +20%. Si tratta di ritmi così bassi – appena lo 0,5% in media all’anno di crescita – che possiamo senza alcun dubbio parlare di stagnazione secolare per l’economia italiana. Nel frattempo, il problema dei problemi, vale a dire il debito pubblico, non ha fatto che aggravarsi: era al 112,5% nel 1992 e a fine 2021 si attestava a circa il 150% del PIL.
Gli italiani, in gran parte sostenitori della “rivoluzione” giudiziaria di Mani Pulite, volevano liberarsi dal peso delle tasse, già allora percepito asfissiante. Fatto sta che di progressi non ve ne sono stati. Anzi, se nel 1992 la pressione fiscale superava per la prima volta il 40% del PIL, da allora si è mantenuta perlopiù costante e tendenzialmente in rialzo. Negli ultimi anni, ha oscillato tra il 42% e il 43%. Del resto, non abbiamo avuto una classe politica all’altezza del compito di varare riforme economiche lungimiranti. A dirla tutta, la lungimiranza è stata resa impossibile anche dall’instabilità dei governi, ereditata dalla Prima Repubblica. In meno di trenta anni, a Palazzo Chigi sono entrati ben dodici premier, i quali sono stati a capo di diciassette governi.
Se ci sono stati aspetti positivi, questi non sono dovuti all’esito di Mani Pulite. La stabilità dei prezzi è stata garantita da quella del cambio, entrambe conseguenza dell’ingresso dell’Italia nell’euro. La mediocrità della nuova classe politica ha fatto sì che il vincolo esterno legato alle regole fiscali comuni nell’Eurozona sia stato vissuto dagli italiani come un cappio al collo.